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Quella mafia “vintage” con il pallino di cancellare il 41bis

Di Lara Sirignano |

PALERMO – Le intercettazioni raccontano una mafia tradizionale: estorsioni, danneggiamenti, affari coi “cugini” americani, nostalgia dei “picciotti” di un tempo e delle vecchie regole. E se il refrain del boss di Sciacca, Accursio Dimino, impegnato nelle “ordinarie” attività criminali dei clan, rimanda l’immagine del vecchio capomafia di provincia, colpiscono le esternazioni del suo interlocutore: un quasi insospettabile. Nell’ultima inchiesta della Dda di Palermo, che ha coinvolto anche Dimino, spunta un nome nuovo: quello di Antonello Nicosia, pedagogista, esponente dei Radicali Italiani, impegnato in campagne per i detenuti.

Un’apparenza che cozza con quanto emerge dalle indagini che lo descrivono come «pienamente inserito in Cosa nostra». Parlava come un uomo d’onore, progettava insieme al capomafia di Sciacca, suo frequentatore abituale, danneggiamenti, estorsioni e omicidi. E, utilizzando il ruolo di collaboratore parlamentare di Giusy Occhionero, deputata di Leu, da poco passata a Italia Viva, incontrava capimafia detenuti, dava loro consigli, si accertava che non si pentissero e riferiva all’esterno i loro messaggi.

Nicosia non nascondeva alla Occhionero le sue simpatie per il boss latitante Matteo Messina Denaro che definiva «il nostro primo ministro». «Noi preghiamo San Matteo. San Matteo proteggici. Mai contro a San Matteo», le diceva non sapendo di essere intercettato.

Grazie al rapporto con la Occhionero, Nicosia ha incontrato boss detenuti al 41 bis. Come Filippo Guttadauro, cognato di Messina Denaro. «Nicosia l’1 febbraio 2019 si era recato insieme all’onorevole Occhionero nella casa circondariale di Tolmezzo per fargli visita, per rassicurarlo dell’impegno relativo alla sua “causa”, proponendosi di presentare un’interrogazione parlamentare tramite l’onorevole», scrivono i magistrati. E ancora: dava istruzioni al figlio di un boss su come parlargli evitando le microspie.

A ben cercare nel suo passato, in verità, il pedagogista radicale qualche problema con la legge lo aveva avuto già: anni fa era stato condannato a 10 anni per traffico di droga. Cosa che preoccupava il boss di Sciacca che temeva che la sua vicinanza alla parlamentare di Leu inducesse il partito a fare controlli.

Un padrino con un passato di fedeltà assoluta al clan Messina Denaro, Dimino. Professione ufficiale insegnate e imprenditore ittico, ha avuto una fitta corrispondenza con il latitante di Castelvetrano. Con Nicosia stava progettando di uccidere un imprenditore di Sciacca per impossessarsi del suo patrimonio, cercava giovani svegli per fare danneggiamenti alla «Z Costruzioni», impegnata in lavori al porto di Sciacca, progettava vendette verso debitori, cercava di far soldi coi lavori di ristrutturazione del complesso alberghiero «Torre Macauda». «Magari ci possiamo guadagnare qualche 50 mila euro», diceva.

Il boss e l’amico stavano anche programmando una fuga negli Usa dove da anni avevano rapporti con mafiosi di Sciacca emigrati. «Dobbiamo fare una cosa per fare soldi», dicevano. Ma i pm sono arrivati prima che facessero le valigie.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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