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Tumore del seno: test diagnostici più precisi aiutano ad avvicinare le donne allo screening
La diagnosi precoce rappresenta l’arma fondamentale nella lotta contro il tumore al seno, ma la copertura dei programmi di screening non è uniforme sul territorio nazionale, con differenze spesso sostanziali. Si registrano difformità anche alle diverse tariffe e le regole di remunerazione per prestazioni diagnostiche applicate a livello regionale, un esempio è quello della biopsia vuoto assistita.
“Gli screening mammografici hanno ottenuto una riduzione del 20% della mortalità specifica per cancro al seno nelle donne di età compresa tra i 50-74 anni grazie all’esecuzione della mammografia in due proiezioni ogni due anni. Per migliorare l’adesione si stanno verificando le performances in termini di sensibilità e specificità di nuove metodiche diagnostiche come test di screening (la più promettente è la tomosintesi – DBT) e percorsi personalizzati che considerano la densità del seno ed il rischio per decidere metodiche aggiuntive al test di screening (ecografia mammaria) ed intervalli di tempo tra un esame e l’altro adeguati (un anno versus due anni)” ha spiegato Francesca Caumo, Direttore Radiologia senologica IOV Veneto. “Diversi studi, retrospettivi e prospettici, hanno valutato il potenziale della DBT nello screening di primo livello dimostrando come la tomosintesi (DBT) da sola o combinata con la mammografia tradizionale (DM) consenta prestazioni diagnostiche migliori rispetto alla sola mammografia standard. Una importante revisione scientifica della Dottoressa Houssami ha riportato che nell’ambito dello screening, la DBT in aggiunta alla DM ha aumentato il tasso di rilevamento dei cancri dello 0,5–2,7‰ e ha ridotto i falsi positivi dello 0,8–3,6% rispetto alla sola DM negli studi sperimentali osservazionali”.
Dal 2020 in Regione Veneto è attivo il progetto RIBBS “RIsk-Based Breast Screening in young women: taylored imaging protocols”, progetto pilota, sviluppato e presentato dalla Radiologia senologica ed oncologica dell’Istituto Oncologico Veneto (IOV), che ha coinvolto 10.270 donne quarantacinquenni, con una chiamata attiva (con lettera) ed un percorso di screening personalizzato, che tiene conto, oltre che dell’età, anche della densità mammaria (alta nel 18,5% delle donne valutate) e di ulteriori fattori di rischio rilevati al momento della visita. Il programma ha permesso di identificare precocemente, alla valutazione iniziale, 64 nuovi casi di tumore in donne asintomatiche, e di avviarli ad un adeguato trattamento. Il progetto pilota andrà avanti per altri cinque anni.
“Ogni cancro che riusciamo a prevenire è un beneficio indubbio per il sistema sanitario perché sono in gioco anche aspetti finanziari – ha sottolineato Luciano Flor, Direttore Generale Area Sanità e Sociale della Regione del Veneto. “Oggi lo screening ha un problema reale: la mancata adesione, dobbiamo arrivare al 99,9% e cercare disperatamente lo 0,1 perché lo screening salva vite. Abbiamo a disposizione nuovi strumenti che sono in grado di anticipare la comparsa del tumore e il progetto presentato dalla Professoressa Caumo è illuminante rispetto a quello che la tecnologia oggi ci offre, non solo migliora la qualità di vita delle pazienti ma anche la qualità del lavoro degli operatori sanitari”. Poi un appello: “Dobbiamo migliorare la comunicazione con i cittadini, dobbiamo prevedere che la comunicazione e l’informazione ci siano perché fanno parte del servizio sanitario e sono veri e propri regolatori di sistema. Il cittadino non informato è un cittadino incerto”. Infine, rispetto al PNRR Flor ha concluso: “Non dobbiamo avere paura di modificare le nostre organizzazioni; in un mondo che corre ed è sempre più tecnologico dobbiamo essere protagonisti e non subire i processi”.
È inoltre emersa anche l’importanza che tutti i centri (non solo hub) possano svolgere attività diagnostica (biopsia) con accesso a tecnologia adeguata, “Come ad esempio gli aghi di grosso calibro che permettono una diagnosi più accurata” ha spiegato Francesca Caumo.
Sul ruolo strategico della rete oncologica è intervenuto Mirko Claus, UO Cure Primarie – Direzione Programmazione Regione del Veneto: “Il tumore della mammella può essere il paradigma di come dover garantire la presa in carico, la continuità dell’informazione e dell’assistenza. In questo contesto la rete è un modello che non ha più un’accezione esclusivamente strutturale legata solamente ai centri specialistici, ma grazie al fascicolo sanitario elettronico e alle nuove tecnologie le informazioni a diretta disposizione del paziente e di tutti i professionisti possono efficacemente diminuire il ritardo diagnostico, migliorare la presa in carico e favorire il governo dei percorsi in modo integrato e in tempo reale”.
Europa Donna Italia è accanto alle donne ed è attiva sul territorio nazionale attraverso, tra le altre attività, la ricerca scientifica, la sensibilizzazione allo screening, e workshop sulla formazione. Attualmente è in corso il monitoraggio delle brest unit sul territorio nazionale. “Conosciamo molto bene il territorio nazionale grazie a questa ricerca” ha sottolineato Alessandra Meda, responsabile della segreteria scientifica. “Per il 2023 ci focalizzeremo su punti cardini del nostro manifesto: cercare di capire perché non c’è aderenza allo screening (se ci sono paure e perplessità), quale metodo impiegare per migliorare la chiamata e se c’è uniformità a livello regionale, capire se ci sono dei punti in sospeso per quanto riguarda l’importanza della familiarità al primo accesso. I dati raccolti li sottoporremo alle istituzioni e chiedere perché determinate cose non si fanno allo stesso modo nelle diverse regioni. Obiettivo è trovare le migliori soluzioni”.
Dalla Campania i primi risultati sono stati presentati da Antonio Postiglione, Direttore Generale per la Tutela della Salute e il Coordinamento del Sistema Sanitario Regionale di Regione Campania ha spiegato: “La nostra rete oncologica ha tre anni di piena attività: abbiamo costituito un tavolo tecnico scientifico, grazie ai GOM abbiamo indentificato i destinatari di esami genetici – il 25% dei tumori sono stati indentificati – e abbiamo da poco avuto un confronto con le varie associazioni di pazienti oncologici che sta dando buoni risultati. Oggi il malato oncologico non deve essere sballottato da una parte e l’altra della regione ma deve ricevere una presa in carico globale. Nella nostra regione viene controllato e monitorato al domicilio e nonostante la carenza di personale contiamo di arrivare ad una soluzione che tenga conto dei bisogni dei malati”.
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