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Siamo figli dell’ibridazione: unici e creativi (ma anche prepotenti).Ecco come si sono affermati i Sapiens
Siete pronti a viaggiare nel tempo? Nel 2018 fece scalpore la scoperta che una tredicenne, vissuta 90.000 anni fa nella grotta di Denisova sui monti Altai, in Asia centrale, aveva avuto il padre e la madre di due specie umane differenti: il suo Dna era per metà neandertaliano e per metà denisovano, cioè appartenente a una forma umana asiatica del genere Homo di cui ancora sappiamo poco. Il rinvenimento pose subito un dilemma: o i ricercatori erano stati molto fortunati e avevano trovato l’equivalente di un ago in un pagliaio; oppure gli accoppiamenti tra specie diverse erano molto più frequenti di quanto avessimo mai sospettato. In quella grotta, peraltro, abitarono anche gruppi di Homo sapiens.
Per noi oggi è quasi impossibile immaginare un essere umano ibrido, ma in passato fu per lungo tempo la norma. Su «Nature» e «Science» di dicembre 2024 leggiamo che i nostri antenati usciti dall’Africa e i Neanderthal vissero a lungo negli stessi territori in Eurasia e che nell’ultima fase fecero figli insieme almeno per 7.000 anni. Era insomma normale che succedesse e in quel periodo storico (fra 50.500 e 43.500 anni fa) un nostro antenato su venti era neandertaliano. Alcuni gruppi di Homo sapiens, in Europa centrale e orientale, si ibridarono anche più assiduamente con i Neanderthal della regione intorno a 46.000 anni fa, ma poi per motivi sconosciuti non lasciarono discendenti.
Sono scoperte avvincenti che negli ultimi anni si sono succedute a ritmo incalzante. Le altre specie umane erano intelligenti, ben adattate al loro ambiente, socialmente organizzate e anche capaci di espressioni simboliche ed estetiche. I cuccioli ibridi erano evidentemente sani, fertili e accolti dalle tribù di riferimento, al punto da avere a loro volta una discendenza. Altrimenti oggi non avremmo una situazione per cui tutte le popolazioni umane moderne, fuori dall’Africa, hanno nel loro Dna piccoli frammenti sparsi neandertaliani e denisovani. Quindi i frutti di quegli accoppiamenti ibridi si riprodussero a loro volta e divennero nostri antenati diretti. Siamo figli delle ibridazioni tra una molteplicità di specie umane.
Tra migrazioni, ibridazioni, cambiamenti climatici e alberi genealogici di specie, in questo libro proveremo a raccontare gli ultimi aggiornamenti scientifici su alcune domande affascinanti che riguardano le nostre origini. Come è nata la specie umana? Quando è uscita dall’Africa? Cosa è successo quando ha incontrato altre forme umane recenti? Da dove venivano queste ultime e perché a un certo punto, tutte insieme, si estinsero? E dunque, perché siamo rimasti l’unica specie umana sulla Terra 40 millenni fa? La nostra idea è che dalle risposte a queste domande possano derivare indicazioni preziose per capire che cosa rende unici (cioè diversi a modo nostro, non speciali né superiori) noi Homo sapiens, come entriamo in relazione con l’ambiente e con i nostri simili, in che modo possiamo imparare dai nostri difetti e indirizzare al meglio il futuro.
La nostra specie è nata certamente in Africa, ma il come e il quando sono ancora oggetto di dibattito e ricerche. Intorno a 300 millenni fa, nel sito di Jebel Irhoud in Marocco e poco dopo in Sudafrica, cominciano a emergere alcuni tratti tipici di Homo sapiens, nella dentatura, nella forma del cranio e della faccia. Tuttavia, la morfologia completamente attribuibile alla nostra specie si stabilizza, un centinaio di millenni dopo, in Africa centro-orientale, da decenni considerata la culla dell’umanità. Pertanto non è ancora chiaro se la nostra fu una speciazione graduale e multiregionale (cioè avvenuta in parallelo in diverse regioni del continente africano) oppure punteggiata, cioè più veloce, e localizzata intorno al Corno d’Africa.
Anche le uscite dall’Africa sono ancora da chiarire. Negli ultimi anni sono state raccolte evidenze circa possibili espansioni di popolazioni con i tratti tipici della nostra specie già in epoche remote, più di 130.000 anni fa almeno, in Medio Oriente, Europa e Cina. Ma è pure ben documentato geneticamente il fatto che tutti gli esseri umani moderni fuori dall’Africa discendono da un singolo gruppo di pionieri, migrato fuori dal continente in tempi successivi, fra 70.000 e 60.000 anni fa, divisosi poi in tante bande nomadi. Siamo tutti cugini stretti e con un Dna identico al 99,98% proprio perché ciascuno di noi ha un antenato vissuto in quella rete di comunità africane recenti. Essendo Homo sapiens una specie giovane (60.000 anni corrispondono a circa 2.400 generazioni umane), mobile e promiscua, non ha sviluppato al suo interno né sotto-specie né razze.
Una volta diffusi non più solo in Africa ma anche in Eurasia (il cosiddetto Vecchio Mondo, distinto dai nuovi mondi dell’Australia e delle Americhe, nei quali i primi Homo sapiens arrivarono rispettivamente 65.000 e circa 18.000 anni fa), i nostri antenati si imbatterono in almeno altre quattro specie umane: Homo neanderthalensis in Medio Oriente ed Eurasia occidentale; l’uomo di Denisova in Asia centrale e orientale; due specie umane pigmee sull’isola di Flores in Indonesia (Homo floresiensis) e sull’isola di Luzon nelle Filippine (Homo luzonensis). Con le prime due, come abbiamo detto, ci siamo ibridati fino a tempi molto recenti. Deboli segnali genetici lasciano supporre che potrebbero esserci altre «specie fantasma», non ancora scoperte, nascoste nel nostro fitto albero genealogico. Staremo a vedere.
Ma perché tutte queste specie umane in circolazione? Ciascuna era la discendente di una delle tante migrazioni di forme del genere Homo fuori dall’Africa. Le specie pigmee e Homo erectus provenivano dall’antica diaspora di Homo ergaster (o forse addirittura di specie ancor più vecchie), uscito dal continente africano due milioni di anni fa. Neanderthal e Denisova erano invece figlie della diaspora di Homo heidelbergensis in Eurasia, avvenuta almeno 600.000 anni fa, dopo il drammatico collo di bottiglia climatico che tra 900.000 e 800.000 anni fa ridusse per più del 98% le popolazioni umane. Viviamo su un pianeta instabile e migrare è l’adattamento più efficace per cavarsela.
Ci sono stati molti modi di essere umani, dunque, fino a tempi recenti, e con alcuni di questi abbiamo convissuto in modo stretto, al punto da avere accoppiamenti frequenti tra alcuni gruppi. Il che rende l’ultima domanda la più difficile e al contempo la più cruciale: perché siamo rimasti soli, fra 50 e 40 millenni fa? Che fine hanno fatto tutti gli altri? Forse hanno sofferto anche loro cambiamenti climatici ed ecologici. Forse c’è il nostro zampino invadente. (…) Per certo possiamo dire che a nostro favore hanno giocato le capacità linguistiche e l’organizzazione sociale (…). Non resta dunque che partire per questo viaggio nella storia dell’avventura umana. Nel titolo del libro adottiamo la parola «uomo» in senso scientifico e sintetico, riferito alla specie umana come entità biologica, cioè in un senso neutro e non marcato.
Nella prima sezione — preceduta dalla recente conferma che furono proprio i primi esseri umani giunti in Australia e nelle Americhe ad aver estinto le mega¬faune di quei continenti (siamo una specie ingombrante da sempre) — discuteremo alcune premesse dell’evoluzione umana, come la comparsa del sesso, le ridondanze del nostro Dna, la sopravvivenza dei mammiferi alla catastrofe che spazzò via quasi tutti i dinosauri e quella dei nostri antenati africani al collo di bottiglia climatico che sterminò buona parte dell’umanità 900 millenni fa.
Nella seconda sezione tratteremo appunto le convivenze tra specie umane diverse, con una digressione sull’origine del bacio e un omaggio al Nobel per la medicina del 2022, Svante Pääbo, pioniere degli studi sul Dna antico. Finalmente un Nobel evoluzionistico. Nella terza approfondiremo i meccanismi e gli effetti delle ibridazioni tra noi, i Neanderthal e i Denisovani, con sorprendenti ricadute anche per la salute umana attuale, perché lo studio del passato remoto ci aiuta a comprendere il presente in modi assai concreti. Un filo insospettato lega infatti i Neanderthal alla pandemia di SARS-CoV-2 e perfino agli antibiotici.
Nella quarta sezione entriamo nel cuore della questione: quando siamo diventati Homo sapiens e che cosa ci ha reso unici, oltre che soli? Riserveremo un particolare riguardo al tema dell’altruismo e dell’evoluzione della cooperazione, che insieme al linguaggio custodiscono certamente il segreto del nostro successo. Un successo peraltro ambivalente: siamo artefici di una creatività senza eguali e, al contempo, di una prepotenza che da millenni plasma e sfrutta la natura.
Nella quinta e ultima sezione volgiamo lo sguardo al futuro, per capire che cosa questa storia meravigliosa può insegnarci per lenire il dolore, combattere le disuguaglianze, affrontare il mondo digitale, curare le malattie, vivere meglio e più a lungo, far progredire le conoscenze, adattarci al riscaldamento climatico antropico, coltivare una curiosità inesauribile.
Questo è a suo modo un libro corale, perché molti capitoli derivano da dialoghi con i più illustri studiosi al mondo delle discipline connesse all’evoluzione umana e al rapporto tra gli esseri umani e l’ambiente. Lo è anche perché siamo due studiosi che cercano di rendere complementari le loro competenze: l’evoluzione e la medicina. In un tempo in cui molti si illudono di poter fare a meno della scienza e dell’approccio razionale alla realtà, ci accomunano la passione per la ricerca di base e il dovere civile di raccontarla. Sappiamo molto più di loro, ma in fondo stiamo ancora cercando una risposta alla domanda che forse già balenava nelle menti dei primi Homo sapiens africani: da dove veniamo e dove stiamo andando?
Il saggio Dove comincia l’uomo. Ibridi e migranti: una breve storia dell’av-ventura umana di Telmo Pievani e Giuseppe Remuzzi (Solferino, pp. 288, e 18,50) è in libreria e in edicola dal primo aprile. Telmo Pievani è ordinario di Filosofia delle scienze biologiche all’Università di Padova. Dal 2024 è visiting scientist presso l’American Museum of Natural History di New York. Giuseppe Remuzzi è dal 2018 direttore dell’Istituto di ricerche far-macologiche Mario Negri. È socio dell’Ac-cademia dei Lincei e ordinario «per chiara fama» alla Statale di Milano
La foto: Chromo Sapiens di Hrafnhildur Arnardóttir / Shoplifter per il Padiglione islandese alla Biennale di Venezia 2019 (Cottini/ NurPhoto/AfpCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA