Paternò, così il “datore di lavoro” ha ucciso l'operaio che gli chiedeva la paga: confermato il fermo dell'assassino
Mohamed accoltellato a morte lo scorso 4 febbraio nella piazzola di un distributore di benzina
E’ arrivata dalla visione delle riprese del sistema di videosorveglianza di un’area di servizio di Paternò la svolta nelle indagini dei Carabinieri sull'omicidio del 26enne marocchino Mohamed Mouma, assassinato nel Catanese lo scorso 4 febbraio. Una telecamera riprende la scena del delitto, in cui si vede un uomo colpire con due fendenti la vittima. Per l’accusa è il suo connazionale Issam Lahmidi, 36enne, fermato per l’omicidio che sarebbe maturato per un debito. L’uomo è stato fermato dai Carabinieri a Milano mentre cercava di fuggire in Francia e il provvedimento oggi è stato convalidato dal gip che ha emesso nei suoi confronti un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Gli atti dell’inchiesta saranno trasferiti a Catania per competenza.
A identificare l’indagato, bracciante agricolo come la vittima, sono stati i Carabinieri della compagnia di Paternò coordinati dal procuratore aggiunto di Catania Fabio Scavone e dal sostituto Magda Guarnaccia, grazie ai rilievi eseguiti dalla Sezione investigazioni scientifiche del Nucleo investigativo del comando provinciale dell’Arma. Indagini sono state eseguite, soprattutto, sulle frequentazioni della vittima, che hanno coinvolto il mondo della raccolta degli agrumi dell’insediamento denominato «Ciappe Bianche» - una tendopoli nelle campagne alle porte di Paternò che ospita circa 300 migranti impiegati nella raccolta - e della comunità romena della zona.
Fermato sui binari
L’indagato, ricostruisce la Procura di Catania, è stato fermato al binario 20, mentre attendeva di prendere, da lì a 10 minuti, un treno diretto a Ventimiglia, col chiaro l’intento di lasciare l’Italia per recarsi in Francia. Alla vista dei Carabinieri avrebbe inutilmente cercato di nascondersi tra la folla, ma poi ammettendo di essere il ricercato non appena è stato bloccato. Il 36enne indossava ancora gli stessi vestiti che portava durante l’omicidio. Il movente, al momento, sembra da ricondurre a un debito che l’indagato avrebbe avuto nei confronti della vittima, per questioni di lavoro.
All’interrogatorio di garanzia davanti al gip, Lahmidi non si è presentato, rifiutandosi di uscire dalla sua cella al San Vittore. A quanto ricostruito da investigatori e inquirenti catanesi, l'omicidio è avvenuto lo scorso 4 febbraio, in seguito a una discussione legata a una richiesta di denaro da parte della vittima per il lavoro svolto. Quest’ultima, infatti, aveva raccontato ad alcuni amici di avere «problemi di lavoro perché il suo capo non lo pagava».
Lahmidi avrebbe ucciso il giovane con due coltellate all’addome, dopo averlo raggiunto a bordo di un motorino prestato da un amico. Il presunto responsabile del delitto è stato identificato anche grazie alla visione delle telecamere di sorveglianza e ai suoi profili social.
Come osserva il gip nell’ordinanza di convalida del fermo, «le modalità» dell’omicidio «rivelano totale disprezzo per la vita umana».
Il sindacalista
«Ancora una volta, qualcuno s'è svegliato solo dopo avere appreso dell’omicidio di un operaio agricolo e ha scoperto l’esistenza del caporalato. La mafia dei campi infesta la nostra isola. E non si può far finta di nulla per mesi, per anni». Lo afferma il segretario della Uila Sicilia, Nino Marino, manifestando «dolore e rabbia per l'omicidio di Mohamed Mouna, il bracciante ventiseienne ucciso domenica alla Piana di Catania perché - stando ai primi risultati investigativi - si era ribellato al racket del lavoro agricolo».
«Siamo grati a magistratura e forze dell’ordine per il loro impegno, per la loro professionalità, ma - aggiunge il sindacalista - ci attendiamo risposte anche dalle istituzioni politiche e dai cittadini. Siano rafforzati gli uffici ispettivi perché lasciarli sguarniti, come oggi sono, significa essere complici dei nuovi schiavisti. Ma battano un colpo anche i consumatori. Da tempo, infatti, invochiamo una mobilitazione popolare perché su scaffali e bancarelle marciscano i prodotti delle imprese che calpestano la dignità dei lavoratori ignorando ogni norma, ogni contratto».