A Misterbianco l'ultimo saluto a Maria Rosa, la bimba di 7 mesi uccisa dalla madre: «Non ci sono parole per una tragedia così grande»
I funerali della piccola nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie
Gli occhi grandi. Verdi. Una fascia in testa, un vestitino in jeans e il musetto dolcissimo. La foto di Maria Rosa è poggiata sulla bara minuscola accanto a un peluche bianco con una tutina rosa. «Non ci sono parole». Lo ha ripetuto più volte monsignor Antonino Vitanza nel corso dell’omelia. Il parroco ha dato voce al pensiero delle persone che ieri erano nella chiesa di Santa Maria delle Grazie di Misterbianco, dove si è svolto il funerale della piccola di sette mesi lanciata dal balcone dalla mamma mercoledì scorso. Il sacerdote ha detto che davanti a «una tragedia di questa portata due sono le cose fondamentali: il silenzio e la preghiera. Il silenzio - ha continuato - perché quando il dolore è così grande non ci sono parole di nessun tipo che si possano esprimere. Solo silenzio davanti a questa bimba. E preghiera».
Il sacerdote ha voluto ricordare le parole del Vangelo: «Solo se sarete come bambini, entrerete nel regno dei cieli». Monsignor Vitanza ha spiazzato tutti: «Il cuore umano di un bambino è più vicino a Dio di qualunque cuore di un adulto». Il parroco ha esortato i presenti a «tornare piccoli. Perché se l’abbraccio di Dio per un bimbo è scontato, non lo è per un adulto». Vitanza ha alzato la testa: «Se i grandi non impareranno ad amare non impareranno mai ad amare i piccoli». La voce a un certo punto si è rotta: «Credo che non ci sia dolore umano più grande di quello di trovarsi innanzi alla salma di un bambino. Un dolore che non finirà domani. Non solo per la famiglia, perché questo è un dolore che è dentro il cuore di tutti. Un dolore che non dimenticheremo presto». La preghiera per trovare ristoro. Un cuscino dove riposare. «Non resta che affidarci al Signore affinché consoli il nostro pianto. Non per accettare, quello non si può, ma per consolarci. Invece di vedere una bara bianca proviamo a vedere il corpicino di Maria Rosa avvolto dall’abbraccio misericordioso di Dio. Solo Lui può abbracciare in eterno questa piccola».
Il papà di Maria Rosa è stato fermo. Con le mani giunte. Gli occhi chiusi. La nonna si è aggrappata alla figlia, alla zia di Maria Rosa che è salita sul pulpito e ha letto una lettera. «Cara figlia mia, stellina mia. Non doveva andare così. Colei che ti ha dato la vita, te l’ha stroncata nel peggiore dei modi. Noi ti abbiamo amato più della nostra stessa vita. Quando sei nata abbiamo visto una rosellina, eri la nostra luce. Hai conosciuto l’amore del tuo fratellino, un amore senza tempo che ha creato una connessione tra voi due che è cresciuta giorno dopo giorno. La vostra mamma si è macchiata del più grande peccato di cui si può macchiare un essere umano. Il tuo amatissimo papà ha cercato di aiutarla, di curare la sua malattia. Ma i dottori non si sono resi conto della sua gravità, fino a dove l’avrebbe spinta». Ed è arrivata la supplica. E con essa le lacrime trattenute per tutto il rito liturgico. «Noi dobbiamo chiedere perdono in ginocchio se non vi abbiamo saputo difendere. Ora come andremo avanti. Io e la tua nonna adorata avevamo scelto di essere le vostre mamme, tua e di tuo fratello. Ma un’omicida ha cambiato tutto. Scusateci per la crudeltà che avete conosciuto». La lettera è stata firmata dalle mamme Sara e Agata, dal papino e dal fratellino.
La piccola bara è stata accolta fuori dalla chiesa da scroscianti applausi e dal lancio di palloncini bianchi. E poi il silenzio.