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Le lacrime e l’incredulità di Catania per l’ultimo saluto a Raffaele

Di Redazione |

CATANIA – È il silenzio, surreale in una chiesa gremita all’inverosimile, ad attendere l’arrivo di Raffaele Barresi. Ad un tratto tutti si alzano in piedi, un applauso infinito parte già dall’esterno e accompagna una bara bianca, tenuta altissima in modo da farla vedere a tutti: a portarla sono ragazzini in tuta rossa, i compagni di squadra di Raffaele del Lotta Club Jonia, che non nascondono la disperazione e le lacrime. Dietro di loro un fiume di persone, in testa i genitori Antonio e Maria, la sorella Roberta, subito dietro il sindaco Salvo Pogliese e Sergio Parisi, assessore comunale allo Sport; arriverà anche Giuseppe Arcidiacono, assessore alla Sanità. Ci si dispone dove si riesce e proprio il parroco invita i ragazzi a sedersi dove vogliono, perfino sotto l’altare.

Il tempo diventa relativo ed è tutto scandito a ritmo lento, quasi a ritardare l’ultimo saluto, il distacco finale, quasi come dire «Raffaele resta ancora con noi». Tutti guardano la bara bianca ancora increduli, non si trattengono lacrime e si cerca conforto in chi si ha vicino. Maria, la mamma di Raffaele, stringe a sé per tutto il tempo un cuscino con stampata la frase “Nessuno muore sulla terra finché vive nel cuore di chi resta”; Antonio, il papà, le prende la mano come per sussurrarle «non siamo soli».

Sono le parole di padre Gaetano Puleo a cercare di donare un senso nuovo alla morte prematura di un ragazzo appena 16enne, un atleta nell’animo nonostante avesse dovuto smettere con l’agonismo, una persona leale, sincera, sempre sorridente: «Raffaele sta salvando tutti voi giovani, ha avuto la capacità di portarvi qui tutti insieme, di essere solidali e uniti in nome suo. Se non è un miracolo questo! La sua morte è stata troppo improvvisa, probabilmente ha avuto l’incarico di adoperare il suo tempo in terra per amare, un compito divino. E oggi vi dice “godete della vita, non sprecatene neanche un giorno: lottate per vivere, non limitatevi a vivacchiare”. La vita di tutti noi non sarà più la stessa d’ora in poi».

Non hanno potuto prendere tutti la parola alla fine della cerimonia, ma in tanti hanno voluto farlo se pur con le voci spezzate dal pianto, dall’emozione dei ricordi, o mostrandosi più forti di come in realtà si sentono. Come Antonio, padre di Raffaele, che ieri pomeriggio è stato un po’ il padre dei tantissimi ragazzi che hanno letteralmente invaso la chiesa parrocchiale dello Spirito Santo, scelta proprio perché grande: «Domenica sera alla fiaccolata a cui abbiamo dato vita sotto il liceo “Principe Umberto” ho allargato le braccia e abbracciato almeno 4 ragazzi insieme – ha ricordato – In un istante tutta la piazza si è abbracciata a sua volta. Ho insegnato a Raffaele la forza dell’abbraccio, che lui dispensava con generosità. Facciamolo sempre tutti, in suo ricordo. In questi giorni sono venuti a casa mia tanti ragazzi che non conoscevo, ma si sono presentati con il massimo rispetto e amore per la mia famiglia. Vi ringrazio tutti, insieme ai vostri genitori. Non ho perso un figlio, ho guadagnato tantissimi figli. Penso a voi e ai vostri genitori, vorrei abbracciarvi e ringraziarvi uno a uno. Ma soprattutto vorrei che non accadessero più tragedie di questo tipo. A nessuno».

«Mia figlia Erica era la fidanzata di Raffaele – ha raccontato Giuseppe – ho voluto conoscerlo e si è conquistato fiducia in poco tempo. Aveva rispetto per mia figlia e per noi, valori appresi dalla sua famiglia, valori che oggi i giovani hanno sempre meno. Raffaele ci ha insegnato che con i giusti valori e sentimenti si può cambiare questo mondo. Ora so che di lui non era innamorata solo mia figlia, ma anche io, la mia famiglia, e chiunque lo abbia conosciuto».

Ed è Roberta, la sorella di Raffaele, a descrivere come «eravamo la doppia faccia della stessa medaglia: io ero il suo opposto in tutto, lui così perfetto, io no. Ma sono la sorella più fortunata del mondo, tutte le volte che mi mancherà farò un sorriso gigante, proprio come faceva lui».

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