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Omicidio Vannini: la ricostruzione delle Iene che mette in fila tutte le bugie dei Ciontoli

Di Redazione |

Per la giustizia italiana quello di Marco Vannini, il ragazzo ferito da un colpo partito dalla pistola del futuro suocero Antonio Ciontoli e morto a Ladispoli il 18 maggio 2015, fu un omicidio colposo perché non ci fu dolo nell’atto di sparare. E’ questo quello che ha deciso la sentenza di secondo grado con cui i giudici hanno ridotto a 5 anni la condanna a Ciontoli confermando, invece, la pena di tre anni per il resto della famiglia perchè «difettavano della piena conoscenza delle circostanze» che poi portarono alla morte del giovane Marco. 

Ma la Procura Generale di Roma ha chiesto l’annullamento della sentenza d’appello perché tutti i familiari presenti in casa Ciontoli la sera della morte di Marco Vannini erano consapevoli della gravità della ferita del ragazzo, eppure il loro comportamento è stata omissivo. E 

Anche la sentenza di secondo grado riconosce che Ciontoli, sottufficiale della Marina militare, ha mentito e ha evitato «consapevolmente e reiteratamente l’attivazione di immediati soccorsi» attuando una condotta «odiosa e riprovevole» per «evitare conseguenze dannose in  ambito lavorativo». Per la corte però il dolo decade anche perché Ciontoli, pur se in ritardo, attiva «le richieste di soccorso, ancorché condotte con modalità inaccettabili e mendaci».

Ma come ha ampiamente dimostrato lo speciale mandato ieri sera in onda dalle Iene, condotto da Giulio Golia, è tutta la lunga catena di bugie dette dalla famiglia Ciontoli che ha portato all’assurda morte di un ragazzo di venti anni inn amorato della vita e della sua fidanzata. Uno speciale che ha ricostruito per filo e per segno tutta la vicenda, andando ad ascoltare anche persone che gli investigatori hanno ingnorato e che avrebbero potuto dare un contributo importantissimo alle indagini.

Oltre due ore di trasmissione – che se avete voglia e tempo potete rivedere in questa pagina – in cui appare chiara la condotta dolosa di tutti i membri del clan Ciontoli ma che gettano sinistre ombre anche sulle indagini – che ricordiamo coinvolgono un militare che lavorava per i servizi segreti – troppo frettolose, troppo superficiali. E un’intervista a un carabiniere della stazione di Ladispoli fa capire che si sarebbe ancora da scavare, da indagare perché la verità su questa storia ancora non è venuta fuori. 

Secondo la ricostruzione dell’epoca, Vannini si trovava in casa della fidanzata intento a farsi un bagno nella vasca, quando entrò Ciontoli per prendere da una scarpiera un’arma e partì un colpo che ferì gravemente il ragazzo. Di lì, secondo l’accusa,sarebbe partito un ritardo “consapevole” e colpevole  nei soccorsi; le condizioni di Vannini si sarebbero aggravate, fino a provocarne la morte. A processo furono portati, e poi condannati, tutti i componenti la famiglia Ciontoli. In primo grado, Antonio Ciontoli fu condannato a 14 anni per omicidio volontario, i figli e la moglie a tre anni per omicidio colposo. In appello,condanna ridotta a 5 anni per il capofamiglia per omicidio colposo, e conferma della sentenza per i familiari.

Una sentenza, quella di secondo grado, che ha indignato l’Italia intera, la gente comune ma anche il mondo politico, che ha visto scendere in campo anche il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che ha voluto incontrare i genitori di Marco Vannini, e quello della Difesa, Elisabetta Trenta, che ha deciso di fare quanto nelle sue competenze, ovvero evitare in tutti i modi possibili un reintegro di Ciontoli negli apparati militari. Ora la speranza dei genitori di Marco e di tanti italiani  che credono nella giustizia è quella che la Cassazione accolga il ricorso della Procura generale e disponga un nuovo processo che possa far emergere una verità perlomeno accettabile.

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