CATANIA – Da Palazzo Chigi, sulla stretta sullo Stretto, prendono tempo. «Gli uffici stanno valutando tutte le ordinanze delle Regioni». Tutte, compresa quella di Nello Musumeci che, fra l’altro, proibisce il rientro a casa dei siciliani rimasti bloccati altrove prima del lockdown, autorizzato invece dal dpcm del 26 aprile. «Le stanno valutando tutte, articolo per articolo. E poi si faranno le valutazioni del caso», è la linea che emerge dal ministero degli Affari regionali. Anche se a Roma hanno ben presente il gentlemen’s agreement fra Giuseppe Conte e i governatori: via libera a «regole locali più restrittive, in coerenza con una cornice nazionale». E dunque l’ordinanza di Musumeci, anche nella parte sugli “sbarchi proibiti”, non dovrebbe fare la fine di quella della collega calabrese Iole Santelli, impugnata per la riapertura di bar e ristoranti.
Nulla osta. Al netto di qualche perplessità sul profilo costituzionale (perché tutti gli italiani da oggi possono tornare «presso la propria residenza, domicilio o abitazione» e i siciliani no?), la linea del governo nazionale sembra di non belligeranza. A maggior ragione perché anche il decreto interministeriale (Trasporti e Salute), che proroga fino al 17 maggio le restrizioni su treni, aerei e traghetti per l’Isola, dice in pratica la stessa cosa. Si passa solo «per ragioni di necessità».
Ma la linea di Palazzo d’Orléans – Sicilia «chiusa e blindata, fino a tutto maggio» – in attesa di diventare un caso giuridico (cosa succederebbe se oggi qualcuno ai controlli a Messina sfoderasse il decreto di Conte, fonte gerarchicamente superiore in punta di diritto all’ordinanza di Musumeci?) è già un caso politico.
In trincea c’è soprattutto il Pd. Il deputato regionale Nello Dipasquale ha rilanciato una petizione online intitolata “Voglio tornare a casa”, raccogliendo circa 600 firme. Il capogruppo all’Ars, Peppino Lupo, affonda: «I siciliani che si trovano fuori dalla Sicilia hanno il diritto di poter tornare a casa loro: Musumeci non può limitarsi a dire “no” ai rientri, ha il dovere di affrontare il problema e di trovare soluzioni, salvaguardando la salute di tutti». Dalla denuncia alla proposta: «Bisogna attivare un programma di graduale rientro per i siciliani che fino a ora sono rimasti “bloccati” in altre aree del Paese – aggiunge Lupo – e che adesso si trovano in difficoltà perché magari hanno perso il lavoro, o per motivi economici, personali o familiari. Il rientro va organizzato prevedendo ad esempio tamponi rapidi all’ingresso che garantiscano l’esito in un’ora, e una “quarantena a rischio zero contagi”». A Lupo risponde Ruggero Razza. Picche, sul principio: «L’ingresso in Sicilia è normato da un decreto del ministro dei Trasporti, di concerto con il ministro della Salute, che disciplina le modalità con cui si rientra nel territorio siciliano». E poi «il tema del ricongiungimento familiare per stato di necessità – prosegue l’assessore regionale alla Salute – è già previsto in quel provvedimento e non necessita di alcuna autorizzazione nuova». Ma Razza apre su un aspetto: «Tuttavia, nelle prossime ore, valuteremo provvedimenti finalizzati a favorire il rientro dei fuorisede, che già oggi possono fare accesso nell’isola, per come previsto dalla disciplina del ricongiungimento familiare».
Potrebbe essere comunque una tempesta in un bicchiere d’acqua. Perché i rientri saranno contingentati dalla scarsa disponibilità dei mezzi, almeno fino al 17 maggio: un solo Intercity da Termini, traghetti con corse ridotte, sui quattro aerei al giorno per Catania e Palermo (posti finiti fino al 24 marzo) viaggeranno al massimo 600 passeggeri al giorno, e non tutti siciliani di ritorno. E dunque nessun controesodo biblico: il ritorno dei siciliani, anche per la contemporanea riapertura di imprese e uffici, sarà limitato a poche migliaia. Per chi lo farà ci sarà l’obbligo di registrarsi al portale della Regione, di stare quarantena e di fare il tampone finale. Poi si vedrà.
Twitter: @MarioBarresi