IL RACCONTO
Trantino, la fiamma d’orgoglio di papà Enzo: «Per me non è una vendetta! Enrico ha conquistato tutti, anche la sinistra»
Lo spoglio dal salotto del padre del nuovo sindaco tra curiosità ed emozioni
Quando arriva il primo trionfale exit poll, Enrico Trantino è ancora a casa. Che è la villa di famiglia, a San Gregorio, dove è tornato con la moglie e i tre figli dopo la morte della madre Gemma. Per riempire di rumorosa quotidianità la vita di Enzo Trantino. È proprio lui che ci accoglie. Seduto sul divano, con dietro un’enorme vetrata con vista sulla piscina. Popolata da una decina di ragazzini. «Sono tutti gli amici di mio nipote. Erano tutti al comizio finale, con i genitori. Lui, Alessandro, è uno che la sa lunga: ha detto a Enrico che vorrebbe fare l’assessore con delega all’allerta meteo per poter chiudere le scuole…».
I telefonini squillano di continuo, compreso il vecchissimo Nokia di Trantino Senior. «Finché non ci sono dati veri non mi faccio chiamare sindaco!». Il candidato ormai di fatto incoronato è in maniche di camicia, ma con la cravatta già annodata. «Papà, è giunta l’ora: io vado». Prima a rintanarsi allo studio, per poi materializzarsi nel tardo pomeriggio al comitato elettorale. Si abbracciano con gli sguardi, con quattro occhi che luccicano. «Grazie Enrico!» le uniche due parole sussurrate. Ma qui la politica non c’entra, né la vittoria che inorgoglisce il vecchio leone missino.
La rosa per Gemma
«Stamattina (ieri per chi legge, ndr) Enrico è andato a Licodia Eubea, nella cappella di famiglia dove riposa Gemma per portarle una rosa. “Papà, le ho raccontato cosa sta succedendo nella nostra vita”, mi ha confessato», racconta commosso. Lui, invece, all’adorata moglie, dice con lo sguardo rivolto all’insù: «Gemma, tuo figlio ce l’ha combinata di nuovo: un’altra birbanteria, contro i miei consigli per metterlo in guardia sulle insidie delle amministrative». E qui trattiene a stento le lacrime.
Ecco, quando rimaniamo soli (ma con la discreta vigilanza di Cettina, la mitica segretaria dello studio), si riparte proprio da lì: cos’è successo? Come si è arrivati a quella che l’ex parlamentare del Msi definisce «un’orgogliosa trepidazione», ma anche «un pieno di emozioni per chi ha avuto la fortuna della longevità e l’ineluttabilità di lutti fiaccanti».
La telefonata di Giorgia
E così arriva il racconto della telefonata di Giorgia Meloni, «lo scorso 4 aprile alle 21,30 circa». A rispondere alla leader di Fdi è il nipotino. «Papà, ti cerca Giorgia, dice che è importante». E il candidato ormai designato dall’altissimo che arrossisce e lo rimprovera: «Ma che è tua sorella che la chiami Giorgia?». È la scena finale di «una famiglia in assetto di festa», che si consuma «in una nottata insonne».
E c’è un doppio prequel politico, che Trantino padre ricostruisce. Il primo è «una componente chimica involontaria», ovvero «il volo Roma-Catania, in cui Enrico viaggiò con Raffaele Lombardo, appena assolto in Cassazione nel processo per mafia». Il leader autonomista chiama il principe del foro: «Ma ci hai pensato a tuo figlio candidato?». La seconda è una chiacchierata «fra Giuseppe Castiglione, il genero, e La Russa, un assist da fuori coalizione che, tramite Ignazio, filtrò alla Meloni».
Candidato “impreparato”
Trantino ammette che «Enrico era un candidato che non si era preparato alle elezioni: fra i cinque-sei che componevano la griglia iniziale del centrodestra era stato escluso. Ma non perché non lo volessero, semplicemente perché non si era proposto».
La distrazione di Nello
E, senza volerlo, il discorso arriva a Nello Musumeci, prima allievo di Enzo e poi riferimento di Enrico. «Lei l’ha scritto in modo pregevole: mio figlio, con Nello, è stato un eterno quasi-tutto. Alla fine c’è stata una distrazione di Musumeci, dettata dalle amarezze subite a Palermo, cosicché s’è allontanato progressivamente da Catania, non da questo o da quello. Enrico, in coerenza col suo carattere e con la sua educazione, non ha mai alzato il telefono per chiedere nulla. Musumeci – rammenta Trantino – sul podio di piazza Università ha fatto il peana di mio figlio, perché ora, più a freddo, s’è trovato nella condizione di capire che ha perso tanti bei rapporti perché li ha raffreddati lui. Ma “nulla di personale”, come dicono nei film americani quando sparano addosso a qualcuno…».
I sondaggi all’uscita dei seggi diventano proiezioni. Le prime danno Trantino oltre il 60%. Il padre sospira. E cita le telefonate della scrittrice Silvana Grasso e di «un docente universitario di sinistra» per dimostrare che «questa città s’è aperta progressivamente a Enrico, non c’è stata più né destra né sinistra. L’hanno votato tutti, anche a sinistra, perché gli riconoscono quattro caratteristiche: è una persona perbene, ha conoscenza della macchina amministrativa, è un professionista affermato che non vive di politica e viene da una tradizione di doveri e serietà».
Ma riuscirà a tenere la barra dritta contro l’ingordigia dei partiti del centrodestra? «Conosco mio figlio: di fronte a indebite pressioni la prima volta lui sorride, la seconda s’incazza, la terza prende il cappello e dice: “Signori, ho altro da fare…”». Semmai, confessa, «mi terrorizza il disimpegno del popolo. Nonostante la mia cultura, liberale e risorgimentale, sono costretto ad ammirare Erdogan eletto in Turchia col 90 per cento d’affluenza. Oggi a Catania manca il popolo dei doveri. E mio figlio, invece, dice “Ecce homo”: tocca anche a tutti voi, contro la città del lassez faire».
Il tabù da sfatare
La vittoria è ormai consolidata, sezione dopo sezione. Ed è il momento di sfatare un tabù: esattamente trent’anni fa, nel 1993, Enzo Trantino si candidò a sindaco di Catania, senza nemmeno arrivare al ballottaggio, che Enzo Bianco vinse contro Claudio Fava. «Quel galantuomo di Fava tirò fuori l’accusa che io ero il legale di Santapaola: “Questa città deve decidere se combattere la mafia o stare con chi la difende”. Io da oltre un anno non ero più l’avvocato del capomafia, che in ogni caso ha diritto alla difesa. Ebbene, pur partendo da sondaggi che mi davano al 31 per cento, con Giuliano Ferrara che in una tv nazionale disse che “questo Trantino se li mangia tutti”, al primo turno mi fermai, con la mia lista civica, al 18».
Il tempo ha fatto giustizia? «Se dicessi così, sembrerebbe una vendetta personale. E non è così». Ora il rivale-gentleman Maurizio Caserta non ha nemmeno una volta rammentato che i Trantino sono stati i primi difensori di Marcello Dell’Utri. «Enrico ce l’ha fatta, in una campagna pulita grazie anche alle liste della coalizione. Le mani pulite per procura non ci sono più».
Le “armi” segrete
E ora l’ingresso a Palazzo degli Elefanti. Con due armi segrete. «La serenità ereditata da Gemma, che diceva sempre due cose: nulla ci è dovuto e non abbiamo diritto di pagella nei confronti degli altri. Mio figlio la domenica delle elezioni ha cucinato la sua parmigiana con le melanzane bianche, per non confonderla con la ricetta di Bianco. È sereno, ma anche ipersensibile come sua sorella Maria Novella, il cuore di questa città». E poi «la straordinaria famiglia», che «non è un’ostentazione sul palco, ma un’offerta ai catanesi», con l’impegno di «incontrarsi anche una sola volta, a cena, per il nostro rito del “diario della giornata».
I costi del nuovo incarico? «Uno economico e professionale: deve “potare”, come diceva De Marsico, i processi». L’altro riguarda «i libri, lui è un divoratore: ha una cultura straordinaria mai esibita».
Il giurassico cellulare trilla con insistenza. È Spoto Puleo, ex parlamentare democristiano, amico di una vita. «Senti Iano, non è che ora posso risponderti sempre. Devi abituarti ad aspettare: sono uno importante, adesso. Sono il padre del sindaco!». E la risata che segue, una fiamma d’orgoglio paterno, è la nemesi finale. Enrico Trantino non è più «’u figghiu babbu» (cit.) e forse non lo è mai stato.
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