Posti di lavoro ancora con poche donne: scattano gli incentivi per assumerne di più

Di Michele Guccione / 28 Novembre 2019

Palermo – Se ci sono le leggi, bisogna applicarle e farle rispettare. È da lodare, quindi, l’impegno con cui annualmente il ministero del Lavoro analizza la presenza di uomini e donne nei vari settori dell’economia e della pubblica amministrazione, individua quelli dove c’è una eccessiva sproporzione tra i due sessi e indica quelli ai quali destinare nell’anno successivo gli incentivi previsti dalla legge per favorire l’inserimento al lavoro di più donne (ovviamente, solo ai settori privati).

Così, puntuale, anche quest’anno è arrivato il decreto, a firma di Ugo Menziani, direttore generale degli Ammortizzatori sociali e della formazione presso il ministero, che riporta l’analisi svolta sull’occupazione nel 2018 divisa per settori, accendendo l’allarme su quelli nei quali la disparità supera il 25%. Così si scopre che, ad esempio, in agricoltura sono occupati 346mila uomini (73,7%) e 124mila donne (26,3%), con un tasso di disparità del 47,3%. O che il settore delle costruzioni sia il più “maschilista” (792mila contro 68mila, con un divario tra sessi dell’84,2%). O che un settore nuovo che potrebbe dedicare più facilmente attenzione alle “quote rosa”, quello dell’acqua e della gestione dei rifiuti, non lo fa (204mila da un lato, 32mila dall’altro, gap del 73,1%). Però ci sono anche delle sorprese. Un settore oggi impensabile, quello estrattivo, cioè cave e miniere, pur essendo in deficit di genere vede la presenza di “ben” 4mila donne su 20mila uomini (differenza del 69,6%). Fari puntati anche sul manifatturiero (46,5%), sull’industria energetica (46%), su trasporto e magazzinaggio (56,3%), informazione e comunicazione (38,8%) e, impensabile, servizi generali della Pubblica amministrazione (806mila uomini a fronte di 433mila donne, con una distanza del 30,1% tra i due generi).

Il ministero non si limita ad analizzare i settori, ma individua anche le figure professionali carenti sulle quali indirizzare gli incentivi che, nelle buone intenzioni del legislatore, dovrebbero stimolare la sensibilità dei datori di lavoro. Cosa che, incredibilmente, accade, se si legge la situazione fotografata dal decreto del 2018 che analizzava l’occupazione negli stessi settori nel 2017. In effetti, grazie a questi incentivi il divario in agricoltura è sceso dal 48,1% al 47,3% (+6mila donne occupate), in acqua e gestione rifiuti dal 75,4% al 73,1% (+5mila), nel manifatturiero dal 47,1% al 46,5% (+39mila), nell’industria energetica dal 52,4% al 46% (+1.000), nel trasporto e magazzinaggio dal 57% al 56,3% (+10mila), nella P.a. dal 31,4% al 30,1% (+4mila). Purtroppo il meccanismo non ha avuto effetti sugli altri settori, dove invece la disparità tra uomini e donne è aumentata: nelle costruzioni dall’83,5% all’84,2%, nell’industria estrattiva dal 60,5% al 69,6%, nell’informazione e comunicazione dal 35,6% al 38,8%.

Via libera, dunque, agli incentivi per assumere donne in queste figure professionali particolarmente carenti. Si parte dai conduttori di veicoli e macchinari mobili e di sollevamento (96,8% di disparità) e dalle forze armate, dove mancano soprattutto marescialli, sergenti e sovrintendenti donne (ce ne sono solo mille contro 89mila uomini, un gap del 96,7%), ma anche soldatesse (6mila contro 107mila, 90%) e ufficiali (2mila a fronte di 33mila, 89,7%). Ma anche artigiane e operaie specializzate in edilizia (14mila su 593mila, 95,4%) e nella metalmeccanica (26mila su 875mila, 94,3%). Si passa poi alla conduzione di impianti industriali (41mila versus 280mila, 74,4%), professioniste tecniche in campo scientifico, ingegneristico e della produzione (sono 152mila contro 865mila, 70%).

E ancora, troppo poche le braccia femminili in agricoltura, parlando di operaie per i campi, le foreste, la zootecnia e la pesca (21mila a fronte di 116mila, 69,4%). A dirigere grandi aziende troviamo, poi, solo 20mila donne manager su 97mila colleghi maschi (66,3%), così come 31mila ingegneri e architetti donne rispetto a 139mila uomini (63,9%). Non va meglio in informatica e chimica (50mila contro 153mila, 50,9%), nell’artigianato artistico (29mila contro 84mila, 48,8%). Spazio anche nel commercio e servizi, dove un esercito di 788mila uomini si trova a fianco comunque un’ampia rappresentanza del gentil sesso (581mila, qui il gap si riduce al 15,1%) e fra gli specialisti della salute (88mila uomini e 69mila donne).

Guardando all’anno precedente, si notano dei cambiamenti. Negativo quanto a sergenti e marescialli: nel 2017 i maschi erano 88mila e le femmine 2mila, lo scorso anno i sergenti sono aumentati di mille unità a 89mila mentre le donne sono diminuite di mille unità, esattamente a mille. Positivo nell’altro settore fortemente carente, quello degli artigiani specializzati in edilizia: qui l’occupazione delle donne è cresciuta in un anno di 2mila unità. Ma, contemporaneamente, è calata di 2mila addette nel campo della conduzione di veicoli e macchinari mobili e di sollevamento. Ma la vera sorpresa arriva da un settore indicato fra quelli carenti nel 2017 e che non lo è più nel 2018, quello dei membri dei corpi legislativi e di governo e dirigenti della P.a., dove c’erano 33mila donne contro 44mila uomini, divario del 13,8%. Almeno al vertice del Paese la parità di genere sembra rispettata.

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