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Salvo Arena, da San Berillo a Harvard: la scalata americana dell’avvocato che non ha mai mollato

Primo siciliano con un master ad Harvard. «Il flusso di investimenti Usa in Italia crescerà ancora. Si punta su sport, real estate, settore manufatturiero e data center»

Ombretta Grasso

31 Dicembre 2025, 12:08

Salvo Arena, da San Berillo a Harvard: la scalata americana dell’avvocato che non ha mai mollato

L'avvocato Salvo Arena

Never give up”. Non mollare mai. La scritta letta per caso su una card telefonica a Londra, conservata nel portafoglio per anni come un tesoro, l’ha ripetuta dentro di sé come un mantra mentre correva sulla frontiera del Sogno americano, nel Paese che ti porta in vetta o fa cartastraccia dei tuoi desideri. Lì dove tutto è possibile, «ma per averlo può capitare di stare 62 ore di fila in studio, lavorando senza dormire senza cambiarsi senza lavarsi». Da San Berillo a New York, quella di Salvo Arena, 57 anni, catanese, avvocato, socio responsabile dello studio Chiomenti nella Grande Mela, punto di riferimento dell’M&A (fusioni e acquisizioni) e del private equity negli Stati Uniti, è una vita da romanzo, una storia di successo, duro lavoro e passione che sembra uscita da un film di Hollywood. Considerato “il dean degli avvocati stranieri”, lo scorso 4 aprile Salvo Arena ha ricevuto il prestigioso Harvard Law School Award, assegnato in passato a personalità come Barack Obama e Robert B. Zoellick, ex presidente della Banca Mondiale. «Uno dei giorni più importanti della mia vita», commenta.

I primi passi sono in un quartiere di Catania dove tutto sembra difficile, San Berillo. «I miei non hanno avuto la possibilità di andare a scuola e soprattutto per mio padre era un grande rimpianto, mi ripeteva sempre che la scuola, l’istruzione, erano l’unica strada per potersi migliorare. Una convinzione che mi ha inculcato: la consapevolezza che solo lo studio poteva cambiarmi la vita». I libri diventano la molla «per un forte senso di riscatto», racconta adesso con voce ridente.

Dopo la laurea con 110 e lode in Giurisprudenza a Catania, vince una borsa di studio all’Università e inizia la pratica nello studio del professore Vincenzo Di Cataldo, «ma presto mi sono reso conto che sarebbe stato difficile colmare il divario sociale e di relazioni con gli altri giovani laureati, e soprattutto coltivavo già da tempo il desiderio di frequentare un master all’estero, in un contesto diverso, meritocratico, che potesse darmi maggiori possibilità. Inizio così a studiare l’inglese da solo, firmo alcune pubblicazioni di diritto commerciale durante il dottorato, frequento un MBA con una borsa di studio e grazie al prestito di un milione di vecchie lire della mamma della mia fidanzata di allora, mando le application per Harvard, Columbia, Berkeley e Cambridge, in Gran Bretagna».

Lo accettano in tutte le università e sceglie Harvard. «Un’occasione fantastica, ma non avevo i 50 mila dollari necessari per andarci». Non si arrende. «Ero disposto a qualsiasi sacrificio. Fu un’impresa. Ottenni da Harvard il “deferral” all’anno dopo, guadagnando un anno di tempo. Vinsi il bando per un assegno di ricerca della facoltà di Giurisprudenza di Catania, la Comit aveva appena lanciato un programma di finanziamento per frequentare un master negli Stati Uniti, ottenni un prestito dal Fondo studenti italiani, mi aiutarono i genitori di alcuni amici e poi la Provincia di Catania mi mandò al National Archive di Washington a selezionare le foto per il Museo dello sbarco che voleva realizzare, e questa fu un’esperienza stupenda». Mesi durissimi in cui né la famiglia, né gli amici, né i colleghi comprendevano la scelta che gli avrebbe cambiato la vita, «non capivano perché volessi andare a seguire un master in America assumendo un debito cosi cospicuo quando a Catania ero assistente di Diritto commerciale e avevo appena intrapreso la carriera di avvocato». Una capacità di lottare per le proprie scelte che può essere di ispirazione per tanti ragazzi. E per questo gli piacerebbe, un giorno, «creare borse di studio per chi insegue un sogno e non ha le risorse per realizzarlo».

Nel 1999 diventa il primo siciliano a frequentare la Harvard Law School. «Alloggio nella stanza più piccola del dormitorio più economico. Era una sfida. Il livello della classe era altissimo, intellettualmente e per background sociale ed economico». Anche negli Usa pesano lo status sociale ed economico. «All’università conta molto la legacy, chi ha frequentato prima quell’ateneo e quanti fondi ha donato – spiega - Ma in Italia le strade per i “figli di un dio minore” sono molto strette, mentre in America è più facile, la meritocrazia conta di più. Ancora adesso, dopo 25 anni, ci sono tantissimi ragazzi che vengono dal nulla e che riescono a trovare opportunità straordinarie. La meritocrazia è un pilastro della loro società».


Arena nelle vesti di presidente della Harvard Law School Association Worldwide

Dopo il master in Legge di così alto livello arriva l’offerta di Sherman & Sterling, uno dei più importanti studi Usa. «Cinque giorni dopo essermi sposato sono arrivato a New York. Anni indimenticabili, molto intensi, in cui ho imparato la metodologia di lavoro, l’organizzazione, l’approccio maniacale alla qualità che mi hanno fatto capire che New York era la città dove volevo vivere e l’M&A la mia specializzazione professionale».

Le differenze culturali sono la prateria della sua professione. «Una costante del mio lavoro. Il mio ruolo è anche quello di decodificare e semplificare i diversi approcci negoziali dettati da una profonda divergenza culturale socio-economica tra Italia e Stati Uniti. L’approccio degli americani è molto più pragmatico, diretto, molto utilitaristico rispetto a quello italiano». Una “traduzione” di intenti e valutazioni spesso delicata. «Essere socio in uno studio italiano come Chiomenti fa la differenza, la mentalità, la cultura, è quella italiana». Arena è considerato il principale avvocato italiano a New York. «Ho iniziato da Chiomenti nel 2006 con l’obiettivo di generare e sviluppare nuova clientela in una piazza molto competitiva».

È stato tra i primi a intuire l’interesse crescente degli americani sulle società calcistiche. «Nel 2014 partecipo all’acquisizione del Bologna e comincio a conoscere meglio il mondo del calcio, i regolamenti, la Lega di serie A, la legge stadi. Poi arriva l’acquisizione della Fiorentina da parte di Rocco Commisso, poi Cesena, Triestina, Roma… Oggi seguo anche i progetti legati agli stadi. Non solo pallone. Arena ha appena chiuso l’acquisizione di Marcolin da parte della società americana Vsp Vision, ha seguito quella di minoranza di Illy Caffè, il riassetto del gruppo Ima, colosso del packaging, ha affiancato l’americana Teradyne in una partnership con l’italiana Technoprobe, straordinaria realtà tech che ha una sede anche a Catania.

Nel frattempo non ha mai mollato neanche il legame con Harvard dove ha ricoperto tutte le cariche esistenti ed è stato il primo non americano presidente della Harvard Law School Association Worldwide per due anni, periodo in cui ha «rivoluzionato l’associazione».

C’è un segreto? Una formula magica? Un colpo di fortuna? «La fortuna aiuta sempre, ma intoppi e problemi, anche difficili, non sono mancati. Serve solo una assoluta, assoluta determinazione nel fare quello che ti sei prefissato e non mollare mai, sempre e comunque, anche con grandi sacrifici». Neanche oggi: ritmi di lavoro intensi, 5-6 ore di sonno, la spola tra Stati Uniti e Italia. «Il flusso di investimenti Usa in Italia è cresciuto negli ultimi anni, per la stabilità politica, l’eccellenza dei nostri prodotti, la presenza di molte aziende familiari che rappresentano un target ideale per i fondi di private equity. Ma cresce anche il numero di aziende italiane interessate al mercato americano».

I settori più appetibili, che possono interessare anche la Sicilia? «Manufatturiero, real estate, ospitalità, tech, energia, data center. Credo che il flusso degli investimenti dall’America verso l’Italia e viceversa nei prossimi anni sia destinato certamente a crescere». Non molla mai? «Dedizione totale - sorride - La mia vita personale e quella lavorativa sono intrecciate, anche nel weekend. Il 90% dei miei conoscenti, amici, relazioni, ruotano attorno alla mia professione. Amo quello che faccio».