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SICILIANS

Luigi Caruso, il mago dei fondi che sogna una Sicilia modello Singapore

Il top manager milazzese ai vertici di Blackstone, colosso della finanza mondiale. «Un mio piano per l'Isola? Apertura mentale e zero burocrazia, paghi e c’è il servizi.o Voglia di “give back”, ridarò alla mia terra ciò che ho avuto»

Mario Barresi

31 Dicembre 2025, 12:11

Luigi Caruso, il mago dei fondi che sogna una Sicilia modello Singapore

La frase che ripete più spesso durante la chiacchierata con La Sicilia, quasi fosse un mantra liberatorio, è «ho avuto molta fortuna». Eppure, nella storia di successo di Luigi Caruso, il “fattore C” c’entra fino a un certo punto. Orgogliosamente siciliano di Milazzo, 44 anni, è un top manager di Blackstone Group, colosso della finanza mondiale, leader degli asset alternativi e specializzato in private equity e investimenti immobiliari, con un patrimonio in gestione pari a oltre mille miliardi di dollari.

E, pur sapendo che non è davvero così, ci piace immaginare Caruso nel suo ufficio di Londra come se fosse il Colosseo dei gladiatori nell’Antica Roma: da un pollice rivolto verso l’alto (o verso il basso) dipende la vita (e la morte) di un affare miliardario. Anche se - eccovi uno spoiler del finale del colloquio - l’investimento (a lungo termine) che gli sta più a cuore è «tornare in Sicilia, fare qualcosa di concreto per la mia terra, per restituirle quello che mi ha dato».

Figlio di Nino, tributarista (che «lavora ancora» e gli ha insegnato che «non esiste l’idea di orari fissi: vedendolo fare notte ho capito che per ottenere certi risultati servono flessibilità e sacrifici») e di Giusy, «Ceo della casa» e mamma a tempo pieno («Ha cresciuto me e mia sorella Lydia», che oggi è una delle prime ballerine al Basel Ballet), Caruso ostenta fiero la frequenza del liceo classico, che «spesso è visto come “minore” per chi vuole fare finanza, ma a me ha dato la capacità di vedere le cose in modo diverso rispetto all’approccio più standard di chi proviene dallo scientifico». Fino a diciott’anni ha vissuto a Milazzo, «dove ho casa e torno sempre per le vacanze», il centro di gravità permanente della sua vita. «Della mia città - rivela - amo due cose: è una penisola con apertura verso le Eolie, storicamente più “aperta” di altre aree, e mi ha dato una mentalità capace di rapportarsi con tutti. Soprattutto a scuola ti confronti con una grande varietà sociale e culturale, capisci cosa conta davvero: è stato cruciale per la mia carriera».

Poi arriva il momento di fare la valigia, ma non di cartone: laurea e master in Economia alla Bocconi. E subito a nuotare, senza salvagente, nell’oceano globalizzato della finanza. «Sono stato fortunato», ripete descrivendo i passaggi cruciali della sua vita professionale. Che invece è scandita dalla capacità di farsi trovare sempre pronto, nel posto giusto al momento giusto. Come in Abn Amro, con «il primo deal della mia vita come advisor per Mr. Sawiris nell’operazione Wind, all’epoca il più grande “leveraged buyout” nella storia europea: per me è stata una tappa fondamentale». Sulla scia di quel successo si aprono le porte di Goldman Sachs: «Da Milano mi sposto a Londra. Ho molta fortuna: entro nel team di M&A Advisory sull’Italia e lavoro su “Prysmian”, società creata come spin off dalla Pirelli, operazione sulla quale io seguo l’advisory. Viene premiato come “deal dell’anno” per Goldman: abbiamo portato la società a Piazza Affari e fatto diverse fusioni. È stato un milestone della mia carriera». Che continua al galoppo: «Successivamente mi sposto nel private equity e vado a New York, dove lavoro per Rhône Group, con base a Londra e New York e attività su entrambi i lati dell’Atlantico. Lavoro a New York per cinque dei sei anni con loro. Ho la fortuna di seguire anche WeWork fin dagli inizi, quando era un singolo ufficio, prima di diventare una società gigantesca».

Infine, l’ultima sfida. Quella ancora in corso. «Torno a Londra e approdo in Blackstone, dove sono tuttora e mi occupo di real estate. Inizialmente - racconta - sono a capo delle acquisizioni per il Sud Europa, poi passo a un ruolo più centrale: divento il COO del team di Asset Management, con responsabilità sul portafoglio europeo, a oggi circa 120 miliardi di euro. Penultimo step: vengo promosso COO del business immobiliare europeo». Fino alla prossima avventura: «Da New York mi chiamano a guidare le acquisizioni per tutta l’Asia, un continente vasto e in crescita, con sette uffici da Sydney a Cina, Giappone, India, Corea, Singapore, e in continua espansione».

Questa è la «vita tradizionale» di un siciliano di successo. Uno dei manager più influenti al mondo nella finanza, diventato per forza di cose cittadino del mondo. Ma con la testa e il cuore che non hanno mai lasciato l’Isola. «Sono sposato con Afsaneh, una donna iraniana. Il mio sogno è tornare in Sicilia e costruire, con lei e la mia famiglia, qualcosa di speciale». Viene giù anche il muro della retorica: «Sento che i tempi sono cambiati rispetto alla fuga dei cervelli tradizionale: parlando con tanti siciliani nel mondo, riscontro una forte volontà di rientrare e fare qualcosa per la terra che ci ha dato tanto. Storicamente, nel dopoguerra, si partiva per mancanza di opportunità. Oggi alcune opportunità in Sicilia esistono. Certo, ci sono settori - ammette con schiettezza Caruso - che richiedono di essere in specifiche città: il mio lavoro, ad esempio, si può fare in 4-5 città in Europa, per connettività aerea e tecnologica. Ma la Sicilia ha tanti settori da sviluppare».

A partire dall’«industria della bellezza». «Nel mio ruolo in acquisitions abbiamo fatto una partnership con la famiglia Mangia su alcuni resort in Sicilia. Vi svelo un aneddoto: sedendoci con British Airways, siamo riusciti a incrementare i voli per la Sicilia grazie all’aumento delle stanze disponibili». Il turismo, innanzitutto. «In America è forte l’effetto White Lotus, che speriamo duri. L’ultima volta a Taormina, per l’anniversario, io e mia moglie volevamo tornare al Timeo, dove ci siamo sposati, ma sia quell’hotel sia il San Domenico erano affittati per un mese dalle maison di moda. Ho visto un numero di visitatori asiatici impressionante. In aereo senti commenti che fanno sorridere: “La Sicilia è bellissima, sembra la Sardegna, chi sapeva del mare?”. Ti viene da dire: guarda la cartina! È ovvio che trovi una bellezza così. Dopo tanti anni, questo sta accadendo davvero: sono positivo sulla traiettoria. La chiave è non forzare attività che non hanno senso, ma puntare sulle eccellenze locali». A partire dall’altro patrimonio donato da Madre Natura che potrebbe fare dell’Isola un crocevia mondiale delle energie rinnovabili? «Certamente. E ci sono ambiti che magari non si considerano: la pulizia del mare, ad esempio, diventerà sempre più importante. Come isola, possiamo attrarre società globali che sviluppano tecnologie per pulizia degli oceani: la Sicilia è territorio ideale per testare e applicare queste innovazioni. Inoltre, con l’avvento dell’Intelligenza artificiale, molte cose diventeranno più democratiche e accessibili: potremo rimuovere inefficienze e adottare approcci più mirati per attrarre persone e investimenti».

E qui si arriva al punto. Caruso scandisce bene le parole: «Serve capitale estero: c’è bisogno di investimenti, attratti da progetti che valorizzino il territorio. Molte cose già funzionano: per esempio, tutta l’area di Noto e dintorni. Ho una dozzina di amici senza legami con la Sicilia che hanno comprato casa là e ci passano le vacanze: portano un “tenore di vita” diverso. Un’amica libanese, sposata con un tedesco, ha fatto un matrimonio di tre giorni a Noto: genera un giro d’affari diverso da quello tradizionale. Questo fa scoprire la Sicilia, la gente si innamora e resta. Ora spesso senti: “Vorrei comprare e fare una casa vinicola”, “vorrei produrre olio”. È una riscoperta del territorio».


Luigi Caruso durante una intervista negli Stati Uniti

Il manager di Blackstone accetta il gioco di ruolo: scrivere un business plan per la Sicilia. «Il mio piano partirebbe dall’apertura al mondo di una terra che fortunatamente non è più quella dipinta dai film hollywoodiani per i quali è stata conosciuta nel mondo: sta già cambiando. Nei prossimi 10-20 anni servono apertura mentale e un quadro normativo che crei un circolo virtuoso. Siamo una regione autonoma con una certa libertà: se prendiamo le decisioni giuste, possiamo metterci in posizione di privilegio rispetto ad altri luoghi in Italia. Inoltre, la Sicilia fa parte del “Sistema Italia”, una nazione che negli ultimi cinque anni è vista dall’estero molto meglio, per stabilità e altri fattori: stare in una realtà che funziona dà benefici addizionali. Se diventi eccellenza dentro una realtà funzionante, hai più vantaggi competitivi».

Il modello vincente? Corrisponde al prossimo indirizzo dell’ex liceale di Milazzo: «Mi sto trasferendo a Singapore. L’isola è più piccola di Maiorca, una frazione della Sicilia, eppure ha due dei fondi sovrani più grandi al mondo che investono ovunque. Come hanno fatto in appena cinquant’anni? Hanno creato un sistema che funziona perfettamente: burocrazia quasi assente, economia di servizi, paghi e il servizio arriva. Bisogna abbattere il paperwork: non solo la burocrazia, ma anche l’apparato dei funzionari che, invece di facilitare, spesso bloccano. Il focus dev’essere: cosa possiamo fare perché chi arriva in Sicilia possa fare ciò che vuole fare? Le agevolazioni più utili non sono sussidi a pioggia, ma incentivi fiscali sugli investimenti, concessioni con orizzonte temporale lungo, così da giustificare capitali pazienti. Se la classe dirigente, legittimata da chi capisce cosa vuole il popolo, si siede con chi porta investimenti, la ricetta è semplice ed efficace».

Ma alla fine i fili dell’uomo d’affari s’intrecciano con quelli del buon padre di famiglia. Siciliano. «Il legame dei miei figli con l’Isola per me è fondamentale: andiamo in vacanza, abbiamo casa, cuciniamo. E loro parlano un italiano fluente. Voglio che capiscano i valori da cui arrivo e sentano il legame con la nostra terra», confessa. Ed eccolo, il gran finale. Mentre scorrono i titoli di coda dell’intervista, spunta - senza enfasi, ma con naturalezza - la promessa del give back: «Noi che abbiamo visto il mondo, sappiamo cosa funziona e cosa no. Il privilegio sarebbe implementare ciò che ha senso in Sicilia. Tra amici a New York, Londra, Singapore, Dubai, ci diciamo spesso: “Sarebbe bello portare questo…”. Io ho 44 anni: ho ancora tempo prima di poter riportare indietro la mia vita in modo sostanziale. Ma ne ho già voglia e la voglia non è solo mia: la vedo in molti. Un caro amico, con ruolo simile al mio in un altro fondo immobiliare, è di Augusta: spesso ragioniamo su cosa si può fare. Idee ce ne sono, ogni tanto proviamo, ma serve tempo - conclude Caruso - per dedicarsi ai progetti come si deve. Lo faremo, lo farò».

Perché «ogni cosa va fatta al tempo giusto».

E nemmeno questa sarà una questione di fortuna.