Uno degli indagati per l'aggressione omofoba arrestato a giugno armato: nomi e carte della violenza
Tutto è cominciato al primo piano del fast food di piazza Borsellino. Picchiata anche una persona estranea alla vicenda: «Ti sparo».
La notifica della misura cautelare dell’obbligo di dimora a Carmelo Pulvirenti, il 20enne accusato assieme a un 18enne di violenza privata e lesioni personali con l’aggravante della discriminazione per i fatti avvenuti il 24 aprile scorso dentro e fuori un fast food di piazza Borsellino, è arrivata il 30 luglio scorso in carcere. Dallo scorso giugno infatti il giovane è dietro le sbarre per armi e droga. È stato trovato dai carabinieri della compagnia di Fontanarossa con una pistola nel marsupio e diverse dosi di crack. Originario di Gela, ma da tempo vive a Librino, i militari lo hanno notato al viale Moncada (siamo nella zona del palazzo di cemento) mentre si muoveva in modo particolarmente sospetto. I carabinieri lo hanno seguito fino a un’area di servizio dove hanno deciso di perquisirlo: nella tracolla è stata trovata una pistola clandestina con matricola abrasa (nella foto sotto), completa di caricatore e 10 colpi calibro 9, oltre a un involucro contenente 10 grammi di crack. A casa dell’uomo è stata trovata anche una pistola con lo stemma della polizia.
Ed è stata la polizia a condurre le indagini sulla brutale aggressione omofoba, raccontata nell’immediatezza proprio da La Sicilia, che ha anche coinvolto una persona totalmente estranea all’intera vicenda. Un giovane scambiato per un componente del gruppo di persone della comunità omosessuale che è stato pestato e minacciato anche duramente. «Ti sparo in testa, vedi che non ho paura di farmi 30 anni di galera», avrebbe detto l’aggressore mentre picchiava. Pulvirenti, difeso dall’avvocato Francesco Marchese, è stato identificato anche grazie a un lavoro di comparazione svolto dagli uomini della squadra mobile fra le immagini estrapolate dalle telecamere di videosorveglianza e le foto caricate sul profilo TikTok. Nelle sei pagine dell’ordinanza del gip Ottavio Grasso è stata ricostruita l’escalation di violenza partita dal primo piano del locale. `«Che schifo, noi stiamo mangiando». Tutto è cominciato da questa frase: due delle vittime mentre stavano consumando una frugale colazione (erano le cinque del mattino) parlavano di esperienze personali. La conversazione - hanno detto gli indagati durante l’interrogatorio preventivo nel corso del quale hanno ammesso i fatti - li avrebbe infastiditi per il contenuto e non perché provenissero da omosessuali. Una versione che, per quanto verosimile, però cozzerebbe secondo le valutazioni del giudice con il racconto delle vittime e delle dichiarazioni dei testimoni. Come la ragazza che ha utilizzato lo spray al peperoncino permettendo di fermare il lancio di sedie e pugni e il netturbino che ha letteralmente placcato l’indagato che stava colpendo con un casco una delle vittime. Questo ha determinato che il gip applicasse l’aggravante della discriminazione, che in caso di condanna comporterebbe un aumento della pena prevista.