L'inchiesta
Omicidio Spampinato, 53 anni dopo nuove verità. Ecco i documenti inediti sulla pista politico-eversiva
Il fratello del cronista ucciso a Ragusa nel ’72 chiede la riapertura dell’inchiesta. L’intreccio fra faccendieri, mafia e trame nere
1972, 27 ottobre. A 53 anni esatti dal suo omicidio, la ricerca della verità fa un ulteriore passo in avanti grazie a una notizia che ci rende orgogliosi: i documenti inediti pubblicati negli ultimi due anni dalla nostra inchiesta sul caso di Giovanni Spampinato, corrispondente de L’Ora, assassinato a Ragusa, a distanza di mezzo secolo dai fatti, sono finiti in una istanza presentata in procura dal fratello di Giovanni, Salvatore, che tramite l’avvocato Lucia Gulino chiede di riaprire le indagini.
Oggi, nel giorno dell’anniversario, pubblichiamo altri tre nuovi capitoli d’inchiesta che confermano la nostra ipotesi: dietro l’omicidio Spampinato ci sarebbe stato un segreto dentro a una trama “nera”. Lo stesso segreto e la stessa trama che stavano dietro il delitto dell’ingegnere missino Angelo Tumino, avvenuto otto mesi prima e sul quale indagava Giovanni Spampinato, collegandolo a un traffico illecito di reperti archeologici nel circuito che legava i contrabbandieri ai neofascisti.
Sul delitto Tumino, rimasto fino ad oggi a carico di ignoti, il pm, Santo Fornasier, dal 2019 ha riaperto le indagini. Ora arriva l’istanza del fratello Salvatore per riaprire anche quelle sulla morte di Giovanni. L’avvocato Gulino chiede al nuovo procuratore Francesco Puleio di indagare sul vero movente dell’omicidio sulla scorta di tre nuovi elementi emersi dalla nostra inchiesta.
Il primo riguarda Salvatore Sanzone, un killer vittoriese che potrebbe essere l’esecutore materiale dell’omicidio dell’ingegnere Tumino. Il suo nome emerge dagli appunti di una controinchiesta fatta due anni dopo l’omicidio di Giovanni Spampinato dai familiari, in parte ricopiati dall’agenda di Giovanni. Questi appunti, di cui si erano perse completamente le tracce, sono stati pubblicati solo mezzo secolo dopo grazie al nostro lavoro.
Il secondo, ancora più inquietante, riguarda l’oscuro testimone presente sulla scena del delitto Spampinato, alla guida di una Fiat 850, che assistette all’omicidio e poi sparì senza essere mai cercato dagli inquirenti del 1972. Oggi conosciamo il suo nome, anzi il suo cognome: Gurrieri. Dettaglio che era già presente in quella sorta di controinchiesta della famiglia Spampinato da noi pubblicata.
Il terzo elemento è che l’omicidio del giornalista non va considerato come quel delitto d’impeto che cristallizzò la verità giudiziaria di allora basata solo sulla versione di Roberto Campria, l’assassino reo confesso, ma un delitto eseguito sotto costrizione, come suggerì anche una lettera anonima ricevuta da Campria nel 1976, rimasta ignota fino a quando l’abbiamo pubblicata due anni fa.
L’istanza di Salvatore Spampinato si basa anche sulla perizia dell’anatomopatologo Giuseppe Iuvara, depositata in procura a Ragusa l’8 marzo 2023. La consulenza sostiene che a sparare a Spampinato siano state più persone, circostanza questa che configurerebbe un agguato in piena regola. La sentenza di allora disse che Campria, figlio del presidente del tribunale, sparò perché il giornalista lo avrebbe “provocato” con i suoi articoli in cui lo indiziava del delitto Tumino. Sei colpi a distanza ravvicinata furono esplosi con due pistole diverse all’interno della 500 del giornalista, ferma davanti al carcere. Poi Campria scese e andò a costituirsi.
Il lavoro di Iuvara parte dal fatto che una delle due pistole usate da Campria risultò priva di impronte digitali, dettaglio ignorato 53 anni fa sul quale oggi insiste Salvatore Spampinato. In base alla distanza tra chi sparò e la vittima, alla traiettoria dei proiettili e alla pistola senza impronte, la perizia colloca almeno una terza persona sulla scena del delitto, che avrebbe impugnato una delle due pistole di Campria usando un guanto.
L’avvocato Gulino scrive che l’inchiesta de La Sicilia inquadra il delitto Spampinato come un’esecuzione mirata all’eliminazione di un cronista che aveva scritto della presenza a Ragusa di Stefano Delle Chiaie, capo di Avanguardia Nazionale, all’epoca ricercato per le bombe del 1969, e di Vittorio Quintavalle, pittore neofascista, e dei loro contatti con il deputato regionale dell’Msi Salvatore Cilia.
Per mezzo secolo l’opinione pubblica si è concentrata solo su Roberto Campria, sul rapporto tra lui e Giovanni e sull’ipotesi, mai provata, che la procura di Ragusa non indagò a fondo sul delitto Tumino per proteggere il figlio del presidente del tribunale. I documenti inediti pubblicati dal nostro lavoro rovesciano completamente quel paradigma, raccontando una vicenda diversa, con indagini lacunose, piene di anomalie e contraddizioni. Elementi che confermano i sospetti di Giovanni Spampinato riguardo all’oscuro mondo dei contrabbandieri di reperti archeologici con cui l’ingegnere era venuto in contatto.
Abbiamo svelato che prima di essere ucciso, l’ingegnere Tumino era venuto in possesso di una partita di reperti archeologici, tra cui un cratere greco del V secolo a.C., valutato da un esperto della sovrintendenza tra 80 e 100 milioni di lire. Circa 1 milione di euro di oggi. Avrebbe trattato l’affare insieme a Roberto Campria, al restauratore di fiducia Salvatore Guarino e all’amico concessionario d’auto Ernesto Di Marco. L’affare aveva però scatenato appetiti famelici da parte di alcuni personaggi collegati ai contrabbandieri, come il neofascista esperto d’arte Vittorio Quintavalle, e un trafficante di nome Giovanni Cutrone.
L’oscuro testimone Bartolo Dell’Albani, amico di Tumino, Guarino e Di Marco, raccontò nel 1982, dieci anni dopo l’omicidio dell’ingegnere, a un maresciallo dei carabinieri il segreto del cratere. Da lì partì un’indagine della procura di Ragusa, archiviata dopo cinque anni e rimasta sconosciuta fino al 2023. L’indagine dell’82 oggi costituisce la base della nuova inchiesta a Ragusa riaperta grazie alla testimonianza del noto fotografo Peppino Leone. Nel 1972 lavorava per la sovrintendenza ragusana. Solo recentemente ha confermato l’esistenza del vaso greco in possesso di Tumino poco prima che venisse ucciso.
L’indagine dell’82 sospettò anche dello strano incidente in cui perse la vita il restauratore Guarino, folgorato da una scarica elettrica il 6 gennaio 1973 mentre aggiustava l’impianto elettrico delle campane del Duomo di Ibla. L’incidente avvenne undici mesi dopo l’omicidio Tumino e tre mesi dopo quello di Spampinato. Secondo Dell’Albani, non si trattò affatto di un incidente: Guarino sarebbe stato eliminato perché a conoscenza dell’affare segreto del cratere, di cui era a conoscenza anche Roberto Campria.
Il delitto Tumino e quello di Spampinato sono legati a interessi politici ed economici, probabilmente collegati a finanziamenti per la campagna elettorale anticipata del maggio 1972. I fondi provenivano anche dal mercato clandestino dei reperti archeologici, il cui codice d’accesso era in mano all’organizzazione contrabbandiera del vittoriese Giuseppe Cirasa, il boss locale che aveva contatti con esponenti dell’Msi a Ragusa, con uomini vicini a Stefano Delle Chiaie all’estero e beneficiava dell’appoggio di apparati dello Stato deviati.
Questa vicenda rappresenta il primo tempo dell’intreccio tra mafia e neofascisti, che avrà un secondo tempo con le stragi di mafia: oggi la Procura di Caltanissetta indaga su una presunta regia di Delle Chiaie dietro la strage di Capaci. L’ombra del terrorista nero a Ragusa nel 1972 apre lo scenario di una strategia della tensione andata in scena nella Sicilia orientale. La nostra ipotesi è che Giovanni Spampinato seguendo l’eco di alcune bombe fatte esplodere come atti dimostrativi, stava tracciando una sottile linea nera che collegava Ragusa, Siracusa e Reggio Calabria.

