la conferenza stampa
L'estorsione al presidente di Confindustria da due soggetti vicini al clan di Mangialupi. «A Messina quasi nessuno denuncia il pizzo»
Tre arresti per la richiesta estorsiva a Gaetano Vecchio, numero uno degli industriali siciliani. «La mafia vuole mostrare i muscoli sul territorio», spiega il procuratore capo
Tentata estorsione, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti con l’aggravante del metodo mafioso e dell’impiego di un minore. Sono queste le accuse nei confronti di Giuseppe Surace, 39 anni, e Salvatore Maiorana, 33 anni, già detenuti nelle carceri di Palermo e Agrigento e di un 24enne, Giovanni Aspri (attualmente ai domiciliari) per la tentata estorsione ai danni della Cosedil, l’impresa del presidente di Confindustria Sicilia Gaetano Vecchio, impegnata nei lavori per il risanamento di Fondo Fucile a Messina.
Vecchio aveva denunciato la richiesta di denaro, 250mila euro, per proseguire i lavori di realizzazione di alloggi di edilizia popolare. Una richiesta arrivata tramite una videochiamata dal carcere dei due soggetti che avevano utilizzato un minore per la consegna dello smartphone a quello che credevano fosse il capocantiere e invece era un carabiniere in borghese.
I particolari dell’inchiesta sono stati evidenziati nel corso di una conferenza stampa tenutasi alla presenza del procuratore capo di Messina, Antonio D’Amato, e del comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri Lucio Arcidiacono. La richiesta di pizzo è arrivata in due riprese. Prima il 24enne e poco dopo il minorenne si sarebbero presentati in cantiere, chiedendo di interloquire con il relativo responsabile e avviando videochiamate con Surace e Maiorana. I due sarebbero vicini alla famiglia mafiosa dei Lo Duca che opera nella zona di Mangialupi e che, solitamente, è impegnata nel traffico di droga.
«La mafia muta pelle ma non cambia la sostanza – ha detto il procuratore capo D’Amato - Le attività estorsive sono il tradizionale strumento parassitario. Ma occorre comprendere anche come questo tipo di attività della mafia assolva anche ad un'altra funzione, quella di esercitare e di mostrare i muscoli sul territorio, perché si deve dimostrare di avere il controllo del territorio. La denuncia repentina e l’intervento tempestivo hanno evitato che l'attività estorsiva venisse portata a compimento».
In corso ulteriori indagini per comprendere il ruolo del minore ed eventuali altre complicità soprattutto nella consegna in carcere di smartphone di ultima generazione che hanno consentito ai detenuti di poter avviare la videochiamata da due case circondariali diverse.
Un fenomeno, quello delle estorsioni, tutt’altro che piccolo, come ha voluto evidenziare il comandante provinciale dei carabinieri Lucio Arcidiacono. «È fondamentale denunciare subito – ha detto – in questo caso l’intervento tempestivo ha permesso di raccogliere degli elementi che sono stati determinanti per il provvedimento cautelare nei confronti dei tre indagati. L'invito che faccio è quello di denunciare, la storia insegna che conviene sempre stare dalla parte dello Stato perché lo Stato è presente».
Purtroppo, però, ha detto Arcidiacono le denunce sono troppo poche. «Sono pochissime, praticamente quasi nulle. E dobbiamo segnalare che in tutte le indagini che svolgiamo, quando emergono degli episodi estorsivi sia consumati che tentati, emergono solo ed esclusivamente grazie alle investigazioni. E talvolta, successivamente, chi è vittima di queste richieste estorsive decide di denunciare, ma lo fa solo successivamente, quando c'è una scopertura delle attività investigative. Ci sono casi in cui, anche di fronte all'evidenza, le vittime di richieste estorsive non decidono di denunciare. Questo è un segnale che non va bene, mentre invece bisogna capire e bisogna avere la forza di denunciare, perché chi non denuncia resta schiavo tutta la vita».