LE TRATTATIVE
L'Ucraina, il piano di pace Usa, la delusione di Trump e l'accordo impossibile sul Donbass: «Visioni differenti»
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un’intervista a Bloomberg ha rivelato che ancora manca un'intesa sui territori contesi
«Esistono visioni degli Stati Uniti, della Russia e dell’Ucraina. E non abbiamo una posizione unitaria sul Donbass».
Lo ha dichiarato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un’intervista a Bloomberg, dopo le critiche di Donald Trump, che si è detto «deluso» dal leader ucraino, sostenendo che non avrebbe ancora letto la proposta americana, mentre Mosca sarebbe «d’accordo» con il piano.
Secondo Zelensky, alcuni elementi dell’iniziativa statunitense richiedono ulteriori discussioni su diverse «questioni delicate», tra cui le garanzie di sicurezza e il controllo delle regioni orientali. Kiev, ha sottolineato, spinge per un accordo separato dedicato alle garanzie.
Il capo di Stato ha ribadito la posizione ucraina secondo cui tali garanzie dovrebbero funzionare come il meccanismo di mutua difesa della Nato, noto come Articolo 5. Resta però da chiarire quale sostegno concreto i partner occidentali siano disposti a offrire: i negoziatori stanno lavorando a un’intesa specifica sulle garanzie.
«C’è una domanda a cui io – e tutti gli ucraini – vogliamo una risposta: se la Russia dovesse di nuovo scatenare una guerra, cosa faranno i nostri partner», ha affermato Zelensky nell’intervista telefonica.
Riguardo ai negoziati per porre fine al conflitto, la questione territoriale resta «la più problematica», ha spiegato a AFP un rappresentante vicino al dossier. Il nodo «rimane aperto», ha aggiunto, sostenendo che Vladimir Putin non vuole concludere un accordo senza che l’Ucraina ceda territori nel Donbass.
Da settimane, l’architettura della proposta americana—limata e rielaborata—viene raccontata con sfumature differenti: a Washington si parla di “progresso”, a Kiev e Mosca si registrano resistenze. La Casa Bianca punta a chiudere almeno un quadro di principio; il Cremlino rilancia condizioni e chiede “modifiche sostanziali”. Il risultato è un tavolo in cui ogni parola pesa: cessate il fuoco, linee di contatto, status dei territori occupati, meccanismi di verifica, tempi e natura delle garanzie.
E dire che non c’è accordo sul Donbass non è una formula di rito: è la spia del punto in cui la politica incontra la realtà militare. Per Mosca, la formalizzazione del controllo su Donetsk e Luhansk è il premio minimo di una guerra lunga e logorante. Per Kiev, è la linea oltre cui la sovranità diventa negoziabile e, dunque, vulnerabile domani come oggi. Per Washington, è il cuore della “questione sensibile” che impedisce di trasformare un quadro di intenti in un testo. In mezzo ci sono le garanzie di sicurezza: chi le offre, con quali strumenti, con quale rapidità di attivazione e—soprattutto—con quale credibilità politica.
L’Ue e la Nato spingono per una soluzione che tenga dentro entrambe le dimensioni: deterrenza tangibile oggi e un sentiero di diplomazia domani. I tre leader europei—Starmer, Macron, Merz—hanno ribadito a Zelensky che l’Europa non intende farsi schiacciare tra la fretta americana e il calcolo russo. Non è un rifiuto del negoziato, è il contrario: un modo per dargli una possibilità senza trasformarlo in una resa.