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Il paradosso perfetto di “Falsissimo”: perché, nel “caso Signorini”, per Fabrizio Corona comunque vada sarà un successo
Numeri, algoritmo e narrazione: come un format su YouTube ha trasformato un’indagine in un racconto di potere e contro‑potere
Una stanza nera, una sedia, un primo piano insistito. Nessun montaggio spettacolare, solo pause calibrate, frasi‑gancio e screenshot che scorrono. In due puntate di “Falsissimo – Il prezzo del successo”, il format YouTube di Fabrizio Corona, il contatore vola: circa 10 milioni di visualizzazioni complessive, soprattutto su YouTube, senza contare il fiume carsico di clip su TikTok e Instagram. E mentre la giustizia muove i primi passi — perquisizioni, sequestri, un’iscrizione nel registro degli indagati per ipotesi di revenge porn — il verdetto mediatico sembra già emesso: nella percezione pubblica, il narratore ha incorniciato la storia prima che i fatti trovassero un domicilio stabile nelle carte. In questa partita, l’“esito giudiziario” è diventato un dettaglio. L’“esito narrativo” è il campo dove si gioca la vera supremazia.
Un dato che fa rumore
“Falsissimo – Il prezzo del successo” esplode online a metà dicembre 2025. In pochi giorni la prima parte supera i milioni di view, la seconda promette altre rivelazioni e rimbalza in miriadi di estratti. La cifra‑manifesto — “circa 10 milioni in due puntate” — circola e orienta la lettura del fenomeno: un’audience da prime time, senza il prime time. È un numero che non misura solo l’interesse: è capitale simbolico, moneta di scambio nell’economia dell’attenzione.
La scena che incornicia tutto
Nel set minimalista di “Falsissimo”, Corona mette a sistema tre elementi: l’autonarrazione da outsider, un nemico perfetto (visibile, potente, polarizzante: Alfonso Signorini), un format nativo per l’algoritmo (frasi “tagliabili”, frame‑meme, pacing pensato per lo share). Il risultato è uno storytelling che precede, e spesso sostituisce, l’analisi: il “che cosa è vero” arretra di fronte al “come mi viene raccontato”. Gli short video si moltiplicano, la reach esplode, l’algoritmo premia. Nel frattempo, la contro‑narrazione (“sono solo accuse”, “materiali non verificati”) fatica: non ha la stessa shareability.
Attaccare i media tradizionali, delegittimare chi contesta e ribadire “io dico ciò che gli altri tacciono” crea una comunità identitaria. Chi guarda si sente parte di un’élite informata, “non manipolata”. È un collante potentissimo. In comunicazione politica lo chiameremmo populismo cognitivo: il noi dei “liberi” contro il loro del “sistema”.
Il caso: accuse, indagini, posizioni in campo
Nel primo episodio, Corona sostiene l’esistenza di un “sistema” che avrebbe legato presunti favori sessuali all’accesso a programmi come il Grande Fratello. Nella narrazione compaiono chat, foto e conversazioni attribuite a Signorini e a terzi, con rimandi a ex concorrenti e aspiranti tali. Tra i nomi evocati, quello di Antonio Medugno, volto del GF Vip 2021‑2022, la cui “intervista‑denuncia” diventa uno dei cliffhanger del racconto. È materia incandescente, presentata come “prova” nel teatro digitale, ma che — è bene ribadirlo — resta un insieme di allegazioni da verificare in sede autonoma e giudiziaria.
La reazione di Alfonso Signorini e lo stato dell’indagine
Di fronte alle accuse, Signorini affida la vicenda ai legali. Sul fronte penale, la Procura di Milano muove con un primo fascicolo per diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite (art. 612‑ter c.p.), ipotesi comune nel discorso pubblico come “revenge porn”. Vengono eseguite perquisizioni e sequestri di dispositivi e materiali legati alla seconda puntata. Corona è ascoltato dai pm e, all’uscita, rivendica “oltre 100 testimonianze” e l’imminenza di “due denunce” contro Signorini. Al momento in cui scriviamo, il quadro è in evoluzione e vincolato alla verifica della magistratura.
È cruciale distinguere: la viralità non equivale a verità processuale; la presunzione d’innocenza vale per tutti.
La logica win‑win: se l’esito legale è secondario
Ma sSe domani emergessero riscontri, Corona potrebbe dire: “Ve l’avevo detto”. Se invece non emergessero riscontri, Corona potrebbe dire: “Il potere copre, la prova è la mia persecuzione”.
In entrambe le traiettorie, la narrazione resta intatta e auto‑coerente. È la forza degli storytelling anti‑fragili: le smentite diventano conferme indirette (“mi attaccano, dunque ho colpito nel segno”), i rallentamenti delle indagini si rileggono come “blocco del sistema”, i sequestri di materiale come “censura”. Per lo stesso motivo la quantità (le visualizzazioni, le condivisioni) sostituisce spesso la qualità della prova nel tribunale dell’opinione pubblica.
La cornice giuridica
Il reato chiamato in causa nelle carte è la “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, art. 612‑ter c.p. introdotto con la legge 69/2019 (Codice Rosso).
- Prevede, nelle sue forme base, reclusione da 1 a 6 anni e multa da 5.000 a 15.000 euro.
- Le aggravanti scattano se la diffusione avviene via strumenti informatici o in danno di soggetti vulnerabili; la norma tutela anche i casi in cui chi diffonde ha ricevuto il materiale da terzi.
- Non è necessario che il contenuto diventi “virale”: è sufficiente la trasmissione a un’unica persona senza consenso per integrare la condotta tipica.
Tradotto: la cornice legale è severa e guarda all’atto di diffusione, non al “clamore” che ne segue. In questa fase, tuttavia, siamo nel perimetro delle ipotesi investigative e delle verifiche sui materiali sequestrati: ogni affermazione netta sarebbe arbitraria.
Il fattore “Signorini”: perché questo caso pesa più degli altri
Alfonso Signorini unisce in sé tre vettori: visibilità, potere simbolico (il “pass” per la tv commerciale), riconoscibilità trasversale.
Colpire lui non è “un caso” tra gli altri: è mettere in discussione l’ascensore sociale dello show‑business televisivo, nella sua versione più popolare. Per questo gli effetti travalicano la cronaca: toccano il brand Mediaset, l’ecosistema delle agenzie e la macchina dei casting. Anche l’inerzia comunicativa — il “silenzio” o le note legali — diventa parte del racconto: l’assenza di statement pubblici alimenta la percezione di un “muro” su cui l’eroe continua a picchiare.
Chi vince davvero
“Falsissimo” non vince perché “dimostra”, ma perché convince e coinvolge. La fiducia è spostata dal dato al narratore. Questo ribalta la gerarchia: la “verità” diventa una proprietà del racconto, non un suo presupposto. Nella dimensione digitale, dove l’utente decide cosa credere in pochi secondi, come racconto pesa più di che cosa dimostro.
E i numeri sono lì a parlare: la prima parte de “Il prezzo del successo” supera in pochi giorni le milioni di view su YouTube; testate e aggregatori parlano di boom numerico. L’effetto clip è immediato: nascono trend sonori, parodie, imitazioni, rilanci su canali terzi e profili creator. È la “taglia e condividi economy”: il contenuto è pensato per essere estratto e reiterato, spesso fuori contesto. La platea “misurabile” (YouTube) si somma alla platea “sommersa” (shorts, repost, canali Telegram, siti che riprendono). È così che il numero‑icona — 10 milioni — diventa credibile al pubblico, a prescindere dalla scomposizione puntuale delle metriche.
In prospettiva, il “valore” di questa attenzione non è solo pubblicitario: si traduce in posizionamento autoriale, cachet, sponsorizzazioni, vendite editoriali, e soprattutto nel potere di agenda setting: decidere di cosa si parlerà domani.
È qui che si capisce il senso della frase “ha vinto comunque vada”: perché, in una società dove il racconto spesso precede i fatti, chi impone il frame iniziale si prende il tempo necessario a consolidarlo. E il tempo — in rete — equivale a quota di attenzione.

