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LA REQUISITORIA

La storia della mafia di Catania al processo Centauri e l’amarezza del Pm: «In questa città quasi nulla è cambiato»

La requisitoria del procuratore aggiunto Ignazio Fonzo al dibattimento per la sparatoria di Librino dell'8 agosto 2020

Di Laura Distefano |

Parte dagli assetti criminali del 1970 la requisitoria del procuratore aggiunto Ignazio Fonzo, che oggi ha discusso davanti alla Corte d’Assise di Catania nel processo collegato all’inchiesta Centauri sullo scontro a fuoco dell’8 agosto 2020. Un dibattimento che vede alla sbarra Carmelo Distefano, come esponente di vertice dei Cursoti Milanesi, e gli altri componenti dello stesso clan che quella sera di tre anni fa si sono contrapposti ai Cappello. Una sparatoria che ha provocato la morte di 2 cappelloti, Enzo Scalia e Luciano D’Alessandro.

Lo scenario

In questa prima parte di discussione – la seconda parte sarà affrontata dal pm Alessandro Sorrentino il prossimo 8 maggio – il procuratore ha analizzato lo scenario (anche storico) criminale da cui è scaturito il conflitto. E così bisogna andare indietro di 50 anni per delineare gli equilibri mafiosi che vedevano spartirsi il territorio catanese tra Cosa nostra (con a capo Giuseppe Calderone prima e Nitto Santapaola dopo), il gruppo di Alfio Ferlito e Turi Pillera, e la terza quella dei Cursoti in cui militavano i Mazzei, Pippo Garozzo ‘u maritatu’, Jimmy Miano e Corrado Manfredi. Quest’ultimo era il vero leader che riuscì a portare la mano criminale dei catanesi fino a Milano. Poi nel 1982 Manfredi venne ucciso nell’albergo Canova di Milano.

Le cellule

Da lì tutto cambia, perché i Cursoti si sgretoleranno in diverse cellule che poi diventeranno i clan che oggi conosciamo. Garozzo e Miano entrarono in aperto scontro: da lì la scissione e la nascita dei Cursoti Milanesi. Le sentenze, tutte depositate nel processo e citate dal procuratore Fonzo, danno conto delle faide che si susseguirono vedendo contrapposti da una parte Mazzei (che prende le redini dopo l’arresto di Garozzo) sostenuti dai Santapaola e i Milanesi supportati dai Cappello. Miano è uno dei protagonisti di quel cartello criminale (super cupola) che negli anni Novanta vedeva boss siciliani, calabresi, campani e pugliesi discutere all’autoparco Salesi di Milano. Quando Miano è arrestato a prendere il suo posto nella guerra contro i carcagnusi (Mazzei) è Gaetano Di Stefano, Tano Sventra, che è il padre dell’imputato di oggi.

Le nuove alleanze

Ma l’alleanza tra Milanesi e Cappello non era destinata a durare nel tempo. I Cappello, che nel frattempo avevano fatto famiglia con i Bonaccorsi-Carateddi, si erano sempre di più avvicinati a Pippo Garozzo, leader dei Cursoti (dal nome dello storico quartiere Antico Corso, ndr). Nel 2005, nel procedimento Ramazza gli investigatori intercettano una missiva proprio del boss catanese inviata a Turi Cappello che riproduceva una foto della Ferrari dell’epoca, con il pilota Michael Schumacher, da Luca Cordero di Montenzemolo e  da Jean Todt. Al posto delle tre facce c’erano quelle di Cappello, Bonaccorsi e Garozzo.

Negli ultimi quindici anni tutto è precipitato: Francesco pasta ca sassa Distefano (fratello di Carmelo) ha aperto uno scontro aperto con i Cappello. In particolare con Giovanni Colombrita, arrestato poi nel blitz Revenge, che addirittura avrebbe avuto intenzione di ammazzare. Ma il piano fallì e allora il mirino si spostò nei confronti di un altro capo dei Cappello Orazio Pardo, che fu vittima di un agguato. La discussione del procuratore Fonzo poi arriva al 2018, anno in cui è stato scarcerato Carmelo Di Stefano. Che in poco tempo sarebbe diventato il leader dei Cursoti-Milanesi.

L’ascesa

Un’ascesa resa più facile anche dal fatto che Saretto u Furasteri Pitarà – poi deceduto nel 2020 – non stava benissimo. In questo clima si arriva al 7 agosto 2020, quando Gaetano Nobile è picchiato davanti al suo market di via Armando Diaz “a seguito di una serie di eventi”. Un pestaggio immortalato dalle telecamere che non lasciano dubbi sui partecipanti. Ma come risposta alla violenza subita non c’è stata una denuncia alle forze dell’ordine ma una chiamata al gruppo contrapposto “per ottenere soddisfazione e soprattutto la garanzia che non ci fossero più accadimenti simili”. E così si susseguono riunioni e incontri che culminano con la sparatoria.

Questa tormentata città

A questo punto Fonzo apre una parentesi. “Di questa vicenda quello che mi tocca principalmente è l’età dei molteplici protagonisti, molti dei quali nati a metà degli anni ’90. Qualcuno si poteva illudere che le varie condanne e processi degli scorsi anni avrebbero impresso un moto di cambiamento di questa tormentata città, ma invece guardando a questo dibattimento mi rendo conto di essermi clamorosamente sbagliato perché a distanza di anni si sono riprodotti gli stessi ambiti e contesti criminali. Come risposta a quanto successo in via Diaz si organizza una spedizione punitiva modello Far West. Da quanto abbiamo assistito in questo processo purtroppo ancora oggi uno spezzone della popolazione di questi quartieri popolari obbedisce a vecchi canoni omertosi”.

I collaboratori

Il procuratore, poi, ha riportato l’attenzione al quadro probatorio. Alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e a quelle testimoniali di alcuni imputati. Concetto Alessio Bertucci – che ha affrontato l’abbreviato essendo nel fronte dei Cappello – ha raccontato di essersi salvato solo perché ha finto di essere morto nascondendosi sotto il corpo di D’Alessandro. Il primo a vuotare il sacco – ha spiegato Fonzo – è stato Carmelo Sanfilippo in corso di udienza di convalida dei fermi. Il gip annulla il provvedimento nei confronti del fratello Michael che tornando in libertà comincia assieme all’altro fratello Ninni a dissociarsi dalle scelte di Carmelo. E ne “dicono peste e corna” del fratello. Così come documentato, ha precisato ancora il pm, da alcune intercettazioni che sono state acquisite per volere dei difensori.

Gli ultimi pentiti

In pieno dibattimento sono arrivati nuovi pentiti: un passo indietro lo hanno fatto anche gli altri due fratelli Sanfilippo, così come l’imputato Davide Scuderi. Fonzo ha sottolineato che spetta alla Corte d’Assise la valutazione sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che non vanno prese come “oro colato” ma vanno soppesate e analizzate mettendole a confronto con le altri elementi probatori: video acquisiti, perizia balistica, simulazione video, intercettazioni. Fonzo ribatte poi alla prospettazione di accordi, complotti e dietrologie venute fuori dalle “alluvionali” dichiarazioni spontanee di Carmelo Di Stefano e Roberto Campisi. Ipotesi che non trovano alcuna riprova documentale e testimoniale, in quanto le acquisizioni dei racconti dei collaboratori di giustizia è stata lineare.

I confronti

Per il procuratore aggiunto inoltre nulla è emerso dai vari confronti tra pentiti o tra collaboratori e imputati che sono stati disposti. Ognuno è rimasto fermo nella sua versione dei fatti. “E non poteva essere diversamente e quindi sono rimaste dichiarazioni neutre”, ha detto Fonzo. Quello che ha sorpreso il magistrato è stato invece il comportamento assunto da Natale Nizza e Sam Privitera, che invece di avvalersi della facoltà di non rispondere – come solitamente si fa nei processi di mafia – hanno deciso di sottoporsi all’esame. Per il pm sarebbe stato un fatto di “convenienza” a fornire circostanze che non potranno essere riscontrate.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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