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Smart working, 1 lavoratore su 5 accetterebbe una riduzione di stipendio pur di stare a casa

Un terzo degli occupati si sposterebbe in un piccolo centro e 4 su 10 in un luogo isolato in natura. Il giudizio sul lavoro da remoto è positivo, ma per il 63,9% genera isolamento e peggiora il rapporto con i colleghi

Di Redazione |

Sono oltre 7,2 milioni gli occupati che lavorano da remoto, un dato che seppur sceso rispetto ai 9 milioni raggiunti durante la pandemia è comunque triplicato rispetto al periodo pre covid quando erano impegnati anche occasionalmente da remoto oltre 2,4 milioni di persone. Lo si legge nello studio dell’Inapp «Il lavoro da remoto: le modalità attuative, gli strumenti e il punto di vista dei lavoratori» secondo il quale gli occupati da remoto sono il 32,5% del totale e il 60,8% di questi è stato impegnato a distanza almeno tre volte a settimana. 

 Secondo lo studio, basato su un campione di oltre 45mila interviste fatte tra marzo e luglio 2021, il 46% dei lavoratori vorrebbe continuare a svolgere la propria attività in modo agile almeno un giorno e quasi 1 su 4 tre o più giorni a settimana. Gran parte del lavoro da remoto si è realizzato su base fiduciaria: solo per il 16,5% è stato frutto di un accordo collettivo e per il 14,3% di un accordo individuale; per quasi il 37% dei lavoratori da remoto non c'è stata, invece, alcuna formalizzazione. 

Nel complesso la valutazione dello smart working da parte dei lavoratori – ha affermato il presidente dell’Inapp. Sebastiano Fadda – «è positiva, anche se si manifestano alcune criticità in relazione ad alcuni aspetti, come ad esempio il problema della disconnessione e dei costi delle utenze domestiche. Da ciò si desume che esiste una base per passare dal semplice lavoro da remoto emergenziale a nuovi modelli di organizzazione del lavoro associati a innovative reingegnerizzazioni dei processi produttivi, ma che bisogna adoperarsi per risolvere le criticità». 

 Secondo lo studio ha lavorato da remoto il 39,7% dei lavoratori della Pubblica amministrazione e il 30,8% tra i privati. «Sia nel pubblico (71,5%) che nel privato (64,4%) – si legge – sono state attivate soprattutto piattaforme digitali per lo svolgimento delle riunioni a distanza; il 62,1% delle aziende private e il 41,9% della PA ha fornito dispositivi informatici ai lavoratori. L’attivazione di protocolli di sicurezza informatica ha interessato oltre il 56% dei datori di lavoro. Inoltre, nel settore privato sono state messe in campo varie azioni volte, non solo a consentire lo svolgimento del lavoro agile nell’immediato, ma anche ad armonizzare le condizioni attuali con le prospettive future, investendo in formazione (46,8%), fornendo attrezzature ergonomiche (25,7%) ed erogando un contributo (22,2%) ai dipendenti».

Il 65% dei lavoratori del settore privato intervistati ha dichiarato di poter scegliere in modo autonomo quando disconnettersi contro il 50,1% di quelli del pubblico. Per quanto possibilità di fare brevi pause, una quota particolarmente elevata (78,2%) non manifesta criticità, ma oltre il 49% dichiara di potersi disconnettere solo per la pausa pranzo. Il giudizio sul lavoro da remoto è complessivamente positivo per la maggioranza degli intervistati (il 54,7%) ma il 63,9% ritiene che il lavoro da remoto generi isolamento e circa il 60% che non aiuti nei rapporti con i colleghi. Il 60% del campione intervistato ha sottolineato come problema l’aumento dei costi delle utenze domestiche. Per oltre due terzi degli intervistati il lavoro da remoto è positivo per la libertà di organizzare il lavoro (66,5%)e gestire gli impegni familiari (68,9%).

Qualora il lavoro agile entrasse a regime, si aprirebbero nuove prospettive sul futuro delle città e dei territori. Dallo studio emerge, infatti, che oltre un terzo degli occupati (34,5%) si sposterebbe in un piccolo centro e quattro persone su 10 invece si trasferirebbero in un luogo isolato a contatto con la natura (41,5%).

Inoltre, pur di lavorare da remoto un lavoratore su cinque accetterebbe una eventuale penalizzazione nella retribuzione, «segno che un ipotetico miglioramento nella qualità della vita presenta un valore economico immediatamente scontabile». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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