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Farmaci antivirali e Covid-19

Di Redazione |

Anticiparne l’uso garantirebbe inferiore progressione dell’infezione, maggior recupero, minori ospedalizzazioni e ricoveri in terapia intensiva

“La pandemia COVID ha messo a dura prova l’organizzazione del SSN sia nella componente ospedaliera che territoriale, in un “continuum” di assistenza diagnostico-terapeutica ma anche di igiene e prevenzione di ulteriore diffusione. In un contesto di rapido cambiamento dell’epidemiologia, della patomorfosi e delle necessità di supporto ventilatori di pazienti per lo più anziani e con comorbidità, si è richiesta una collaborazione interdisciplinare alla quale gli infettivologi consulenti erano pronti e sollecitati da anni di recenti programmi e contesti di antimicrobial stewardship. La rapida ricollocazione, anche grazie alla letteratura internazionale, di medicamenti che in un primo momento sembravano promettenti, ha permesso di variare il supporto terapeutico primario fino alla proposta delle linee guida ora disponibili, come quelle della SITA (Società Italiana di Terapia Anti-infettiva), SIMIT e internazionali. Al di là dell’aspetto terapeutico, di squisita competenza infettivologica, è anche importante confrontarsi sull’aspetto pratico gestionale-strutturale-organizzativo dei percorsi intraospedalieri di assistenza e supporto, siano essi medico internistici, medicina d’urgenza, pneumologici, intensivistici, endocrinologici o infermieristici e di Direzione Sanitaria”, ha detto Francesco G. De Rosa, Professore Associato Malattie Infettive SC Malattie Infettive U AOU Città della Salute e Scienza, Torino e Ospedale Cardinal Massaia, Asti

“La stima delle capacità delle terapie intensive parte da un modello epidemiologico dinamico grazie al quale è possibile simulare l’evoluzione del corso pandemico. Tale simulazione si basa su delle ipotesi relative ai cambiamenti del tasso di riproduzione RT che tiene conto degli sviluppi della campagna di vaccinazione e delle politiche in merito al distanziamento sociale. La simulazione restituisce un numero di persone infettate, una porzione delle quali, sulla base di dati di letteratura ed osservabili empiricamente, viene ospedalizzata in regime ordinario o in terapia intensiva. Questa seconda fase del modello si basa su una catena markoviana che simula il percorso terapeutico degli ospedalizzati e quindi permette di calcolare per ogni settimana di osservazione, il numero di terapie intensive occupate, il numero di morti ed i relativi costi ospedalieri. A questa simulazione sono stati poi applicati i dati inerenti all’efficacia di Remdesivir ed anche la durata media delle degenze sia ordinarie che in terapia intensiva. Ciò ha permesso di confrontare gli effetti sia clinici che economici derivanti dall’impiego di Remdesivir nei soggetti eleggibili. I risultati mostrano come l’impiego di tale terapia permetterebbe, su 20 settimane, di salvare circa 13000 vite, occupare complessivamente circa 9000 terapie intensive in meno (su tutto l’arco delle 20 settimane) e di ottenere risparmi pari a 400 milioni di euro. È da ricordare come il modello possa essere adattato ad ulteriori cambiamenti nel corso della pandemia, ponendosi in primis l’obiettivo di informare i decision makers rispetto al potenziale valore derivante dall’introduzione di strategie terapeutiche volte a diminuire la pressione sulle terapie intensive ed il tasso di mortalità”, ha spiegato Matteo Ruggeri, Ricercatore, Centro Nazionale di HTA – Istituto Superiore di Sanità e Professore di Politica Economica, St Camillus International University of Health Sciences, Roma.

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