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L'intervista

Sea Watch, Anna Valvo: «Dai magistrati intervento legittimo ma inopportuno»

Di Franco Castaldo |

Agrigento – La vicenda della “Sea watch 3” offre la possibilità di affrontare la questione sotto un profilo prettamente giuridico. Ne abbiamo parlato con Anna Valvo, professore ordinario di Diritto dell’Unione Europea all’Università Kore di Enna.

Professoressa, la polemica è altissima e infiamma la politica italiana. Ma i migranti andavano soccorsi e poi sbarcati in Italia?

«La questione sul sequestro della nave non va vista tanto in termini di legittimità di quanto ha fatto il procuratore di Agrigento quanto in termini di opportunità di un intervento che può essere considerato alla stregua di un pugno sbattuto sul tavolo finalisticamente orientato ad influenzare l’esito delle elezioni del Parlamento europeo. In un Paese serio, al di là del merito delle indagini, a ridosso delle elezioni dovrebbe essere disposta una specie di “moratoria”, una sospensione delle indagini per evitare di influenzare in un senso o in un altro il voto degli elettori. Peccato però che questo pugno finirà per rivolgersi contro gli immigrati dei quali, di fatto, nessuno si interessa più di tanto: neanche il procuratore di Agrigento e neanche il popolo dei lietopensanti che li vorrebbe tutti in Italia senza però pensare ad assicurare loro condizioni di vita dignitose. Strano Paese il nostro, così preoccupato per le elezioni del Parlamento europeo e delle sorti dell’Unione europea che fra i suoi principali valori pone proprio, ironia della sorte, il rispetto della dignità umana. È ovvio che la necessità del salvataggio di vite in pericolo deve prescindere da qualsiasi riparto di competenze. Questo è un obbligo che va al di là delle procedure delineate nelle pertinenti Convenzioni internazionali e nella normativa interna degli Stati. In caso di pericolo la regola fondamentale è quella della immediatezza dell’intervento di soccorso indipendentemente dalle cause che hanno generato la situazione di pericolo. Nondimeno, va chiarito che la pertinente normativa internazionale convenzionale in materia ha riguardo ad una situazione di normalità nel verificarsi di situazioni di pericolo nella navigazione marittima, assolutamente diverse dalla situazione che si verifica oggi nel mare Mediterraneo. Ma non è di questo che si discute in questo momento».

Il decreto sicurezza, dicono in molti, punta a limitare l’azione della Procura di Agrigento. Lei che ne pensa?

«Certamente il decreto sicurezza non può svuotare il potere della Procura di Agrigento e non può affidare ad alcuno la titolarità delle indagini. È noto che le regole sulla competenza territoriale le stabilisce il codice di procedura penale e, senza troppo scendere nei dettagli, la competenza per territorio si incardina nel luogo in cui il reato è stato consumato; certamente questo criterio non può essere modificato dal decreto sicurezza. La nave è sotto sequestro e ovviamente i suoi occupanti sono sbarcati nel territorio italiano. Se davvero il Procuratore di Agrigento ritiene che la nave in questione sia “corpo di reato”, il suo provvedimento è da ritenere del tutto legittimo e legittimamente è stato disposto lo sbarco degli immigrati. La Costituzione prescrive l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale per il Pubblico Ministero e dunque, al di là dell’esito delle indagini, l’iniziativa del procuratore di Agrigento rimane legittima. Tuttavia, la questione non è in punto di legittimità dell’azione del procuratore di Agrigento. Il punto è un altro. Fra le tante notizie di reato che giungono in Procura, non solo in quella di Agrigento, appare curioso che si dia immediato seguito a quella relativa alla nave che deporta irregolarmente immigrati in Italia. Per superare il conflitto dell’attuale momento storico-politico è necessario che la magistratura non si occupi della politica e che il ministro dell’Interno indirizzi le sue energie anche ad altro che non siano esclusivamente gli immigrati. Fermo restando che gli ineffabili lietopensanti che inneggiano all’immigrazione indiscriminata non si rendono conto (o forse si) che quel cui stiamo assistendo negli ultimi anni più che ad un fenomeno di immigrazione spontanea, è ascrivibile a una deportazione, a una tratta di esseri umani».

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