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Covid, il caso Catania e lo sfogo dell’infettivologo: «Godiamo a essere primi degli ultimi»

Sui social network il primario di Malattie infettive dell'ospedale Garibaldi Bruno Cacopardo cerca una spiegazione sociologica ai comportamenti di tanti catanesi

Di Giuseppe Bonaccorsi |

Lo ha intitolato «La mia città». Uno sfogo amaro, molto reale di una Catania anarchica, menfreghista, arrogante e a tratti incivile. Eppure bella, affascinante, irresistibile e piena di vitalità ed  ironia. E’ apparso su Facebook. Ma a scriverlo non è uno dei tanti,  ma uno dei professori che con tanti altri colleghi medici catanesi (Iacobello, Distefano, Montineri, e tantissimi altri medici)  da oltre tre anni è in prima linea per combattere il Covid. 

Si tratta del prof. Bruno Cacopardo primario di Malattie infettive del Garibaldi Nesima, che racconta aneddoti amari,  talmente incredibili da apparire inverosimili, come il caso del figlio di un87enne non vaccinato ricoverato nel suo reparto che ha detto al medico…«Non lo fate morire, altrimenti vi denuncio!»     «Con amarezza e pieno di dubbi – esordisce l'infettivologo  – inseguo i dati del pessimo andamento della epidemia a Catania: aderire o accodarci alle regole di altri non è nel nostro costume: noi siamo protagonisti, mai comparse. Ed eccoci qui (infatti) a primeggiare, con i numeri sopra i cento, con i reparti che pian pianino ricominciano a riempirsi e  quell'implacabile timore velenoso di non farcela a venirne fuori. Inutile scomodare virologi e biologi molecolari per capirne le ragioni – aggiunge amaro – . Sarebbe meglio chiedere ad un sociologo, uno psichiatra o ad un esperto di etologia animale (alla Mainardi). Oppure a un religioso: non manchi una prece per una città che muore. Meglio un esorcista, anzi».   E più avanti continua: «Abbiamo qualcosa (un diavoletto maligno, un retropensiero beffardo, la genetica di un Che Guevara malandrino) che non ci fa mai raggiungere virtù e soddisfazioni comuni. Godiamo (molto) a stare nelle retrovie, sempre un passo indietro. Primi degli ultimi. Siamo brutti, sporchi e cattivi e molto fieri di esserlo. Disponibili ad annaspare nell'immondizia e nella epidemia pur di non rinunciare a feste e fasti, aperitivi e cene in compagnia. Ci ingozziamo e brindiamo con le bollicine al nostro disastro. Suoniamo le  cetre mentre la città (puzzolenta e greve) brucia di fuochi fatui».

«Il quotidiano è la rappresentazione di una diuturna tragedia dell'orrore – scrive ancora -. Dovunque. Dei liceali litigano con inusuale violenza di fronte alla scuola, sotto gli occhi perplessi di bidelli e passanti. Auto in coda strombazzano impazzite, badando più a fare fracasso che a muoversi. I semafori non dispongono di colori graditi agli automobilisti. Parcheggiare è consentito solo a falsi invalidi e autorità. Uscire da un parcheggio bloccati da due o tre file di auto è una sfida al pugnale. L'autista di un autobus di linea paralizza una fila per scendere a comprare delle caldarroste. Non tollera proteste: ai nostri rimbrotti risponde mostrando il dito medio. Mi chiedo scoraggiato se si tratta di un comportamento liberista o liberale.   «Da un balcone poco distante – racconta poi Cacopardo – una signora in sottana e orecchini sgargianti a lampadario, lancia un sacchetto di immondizia  verso un improbabile cassonetto. Ovviamente lo manca (avrebbe fallito anche Magic Johnson)…ma reagisce al mio rimprovero scuotendo al vento la pettinatura fresca di parrucchiere: "Ecchè dovevo stare secondo lei con l'immondizia dentro casa?»   «Non va meglio sul lavoro – ricorda ancora – . Giungono insieme in reparto un vecchietto di 87 anni e una donna sessantenne con Covid…. non  vaccinati. La signora si schermisce: " Vaccinata io? Nel mio palazzo non si usa. E poi…non ne sentivo il bisogno"».

 «Testuale. Il figlio dell'anziano paziente – aggiunge –  non vuol essere da meno: " ecchè valeva la pena di vaccinarlo ormai a questa età?". Dinanzi al nostro stupore, tuttavia, ci tiene a chiarire che  lo stato clinico del patriarca in qualche modo gli sta a cuore : "Non lo fate morire eh, se no vi denuncio!"».   Nella chiosa però traspare il suo amore per questa città: «E tuttavia, nonostante tutto, amo di un amore viscerale e masochista questa città infingarda, sempre disposta e disponibile al tradimento. Ne sono attratto di quell'attrazione che il rapito riserva al rapitore. L'adorazione infelice che il tormentato riserva al suo aguzzino».  COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA