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Beni confiscati alla mafia

Beni confiscati alla mafia, non tutti i Comuni sanno di averli

In questo modo non possono né vigilare sul loro uso né disporne la pubblica fruizione

Di Gioacchino Schicchi |

Beni confiscati, ancora oggi i Comuni della provincia di Agrigento non sempre sono a conoscenza del proprio patrimonio e, quindi, non possono né vigilare sul loro uso, né disporne l’assegnazione pubblica, né, tantomeno, rendere conto ai cittadini della loro esistenza.

A lanciare la denuncia è l’associazione licatese “A Testa alta”, che ha realizzato in tal senso un vero e proprio dossier che, evidenzia come, ad esempio, su 27 Comuni che risultano assegnatari di beni confiscati solo tre hanno pubblicato sui propri siti on line l’elenco degli stessi e l’eventuale uso.  “Eppure – dicono in una nota – la norma del Codice Antimafia non lascia margini di discrezionalità ai Comuni”. “Oggi – ci spiega uno dei responsabili dell’associazione, Antonino Catania – solamente comuni come Casteltermini e Siculiana hanno provveduto a questa pubblicazione. Altri enti, come Ribera e Campobello di Licata hanno invece messo on line elenchi incompleti”. E se l’associazione ha fatto partire i solleciti verso gli enti pubblici (da ultimo è stato contattato il Comune di Agrigento affinché provveda alla pubblicazione sul proprio sito on line dell’elenco dei beni confiscati: al capoluogo risultano affidati 21 beni immobili e 6 aziende) i problemi non finiscono qui.

Si perché ci sono Comuni che, contattati formalmente da “A Testa Alta” hanno smentito di essere assegnatari di beni confiscati alla criminalità organizzata, fatto questo che, sostiene l’associazione, non coincide con gli elenchi a disposizione dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati, consultabili ad esempio su siti “open” come “confiscatibene.it”

“Ad esempio – continuano ancora dall’associazione – il Comune di Palma di Montechiaro sostiene di non essere beneficiario di alcun bene confiscato, ma oggi risultano assegnati 7 immobili e 6 aziende. Allo stesso modo, da interlocuzioni informali, sappiamo che nessun bene risulta al Comune di Raffadali, mentre invece ne possiede uno”. Quando gli enti sono a conoscenza di quanto possiedono, comunque, non sempre si attivano. “Per restare a Licata – spiega ancora Catania – ad esempio, ancora oggi non risultano trascritti nei registri immobiliari i 22 ettari di terreno confiscati al boss Giuseppe Falzone in territorio di Campobello di Licata. Allo stesso modo non sappiamo per quale motivo non vengano utilizzati dal Comune i locali in corso Basile confiscati a Paolo Greco e abbandonati dopo che si è provveduto allo sgombero degli occupanti”.

Gli elenchi, se guardiamo al resto della provincia, sono lunghissimi: ai Comuni sono stati assegnati in questi anni, oltre immobili e terreni, anche attività commerciali di ogni tipo, dalle autofficine alle società di erogazione di servizi elettrici. Che ne è stato?

“Purtroppo il sistema non funziona  – conclude Catania -, e questo emerge non solo in casi come quello della Saguto, ma anche nella fase conclusiva dei procedimenti”.

 
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