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Discariche in Sicilia, non tramonta mai l’era dei “signori della munnizza”

Manca una strategia. Perché nessuno, ormai da tempo, si assume la responsabilità delle scelte.

Di Mario Barresi |

La parola che s’è sempre usata – nelle ormai ingiallite pagine di questo romanzo, Venticinque anni di munnizzitudine – è emergenza. Eppure dovremmo usarne un’altra: mancanza. E non solo perché il ministro Pichetto, dopo essersi garbatamente rifiutato di firmare l’ennesima nomina (stavolta sarebbe toccata a Schifani, dopo tutti gli altri dal 1999 in poi) di un commissario straordinario per l’emergenza in Sicilia. «Prima mandatemi un piano, ordinario, per la gestione del ciclo dei rifiuti. E poi ne parliamo…». Anche dei super poteri per accelerare l’iter (fermo, per la gioia di chi non li vuole) dei termovalorizzatori.Ora la parola chiave è mancanza. Perché manca tutto.

Manca una strategia. Perché nessuno, ormai da tempo, si assume la responsabilità delle scelte. Le stesse, radicali in un senso o nell’alto, che portarono prima Cuffaro, fan sfegatato degli inceneritori, ad accelerare per la gara dei mega-impianti (talmente ben fatta da sfidare le leggi del calcolo delle probabilità: ce n’era una su 949.173.615 che le offerte coincidessero esattamente con i quattro ambiti) finita nella bufera, e poi Lombardo, nemico giurato di questo tipo di impianti, a dare un netto e orgoglioso colpo di cesoia.Oggi a Palazzo d’Orléans non c’è più Cuffaro né Lombardo, eppure il derby si ripropone. «E facciamoli questi mitici termovalorizzatori», ha detto il leader coi baffi, e con sotto un beffardo sorriso, a una recente kermesse autonomista a Enna. «Anche se prima bisognerebbe fare tante altre cose…».

Ma nel frattempo non si fa nulla. E il governatore, nel frattempo pressato dal revanscismo neo-dc («Vogliamo le Province e i termovalorizzatori»), addita l’assessore Di Mauro, dioscuro lombardiano, come responsabile dei ritardi. Bianco o nero. E invece siamo condannati al grigiore dell’indecisione: si fanno a Catania e a Gela, anzi non più a Gela ma a Palermo. Intanto sono trascorsi due anni dal primo “avviso esplorativo” di Musumeci.

Che poi, al netto degli ultrà del sì e del no, non sarebbero i termovalorizzatori l’unica mancanza. Perché manca tutto il resto. A partire dagli impianti pubblici che darebbero respiro, magari se nel frattempo Palermo e Catania raggiungessero i target di differenziata, all’Isola, maglia nera in Italia per smaltimento indifferenziato. E qui si apre la famigerata pagina della Regione schiava delle discariche private. Che, come si evince dall’inchiesta di queste pagine, sembrano vivere una fase di difficoltà: sequestrato lo storico sito dei Catanzaro a Siculiana, si scopre che a Sciacca c’è un impianto pubblico della Srr che ha aspettato per 5 anni il via libera a una nuova vasca che risolverebbe i problemi per tre lustri; sotto l’Etna la discarica Oikos è riaperta in attesa di pronuncia del Cga; mentre a Lentini l’ex pozzo d’oro dei Leonardi sopravvive a scartamento ridotto sognando, anche sotto amministrazione giudiziaria, l’ampliamento negato dal consiglio comunale ma non archiviato dalla Regione.

Ma non s’illuda chi spera che sia tramontato il sole sull’impero delle discariche private in Sicilia. Soprattutto perché senza di loro l’unica alternativa è spedire ancora più rifiuti all’estero (Olanda, Danimarca e Finlandia le mete più gettonate) con costi di oltre 400 euro a tonnellata per i Comuni.A proposito: mancano pure i soldi, per l’export dell’immondizia. Per questo l’era dei signori delle discariche non è ancora finita. E i loro complici e fiancheggiatori sono sempre dentro i palazzi. Senza puzza, in giacca e cravatta.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA