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l’analisi del mercato del lavoro

I dati dicono che l’occupazione migliora ma la lettura semplicistica penalizza il Sud

L’anno che sta per chiudersi è stato positivo per l’occupazione ed i numeri sembrano confortare questa prima impressione. Ad esempio, a livello nazionale quanti cercano lavoro, compresi i Neet, sono passati da 3,5 milioni nei primi due trimestri del 2021 a 2,3 milioni nello stesso periodo del 2023

Di Rosario Faraci* |

Il miglior auspicio per il 2024 è che la questione lavoro possa ancora una volta attenuare la presa sugli altri problemi economici del Paese. Ma, a ben vedere, è proprio il lavoro a rappresentare una variabile dipendente degli altri principali temi riguardanti l’economia italiana.L’anno che sta per chiudersi è stato positivo per l’occupazione ed i numeri sembrano confortare questa prima impressione. Ad esempio, a livello nazionale quanti cercano lavoro, compresi i Neet, sono passati da 3,5 milioni nei primi due trimestri del 2021 a 2,3 milioni nello stesso periodo del 2023. Si è registrata una inversione di tendenza, che però – secondo il presidente di Svimez, il prof. Adriano Giannola – è frutto di una lettura semplicistica dei dati.

La statistica

Statisticamente occorre poco per essere considerati occupati: è sufficiente, infatti, avere lavorato anche solo un’ora nella settimana di rilevazione Istat per risultare occupati, a prescindere dal reddito raggiunto. In realtà questa notevole disponibilità di lavoro – influenzata pure dall’eliminazione del reddito di cittadinanza e, quindi, dal ritorno anche al sommerso – non ha migliorato i salari, né la condizione economica delle famiglie.A ben guardare, infatti, nel Mezzogiorno 4 lavoratori su 10 hanno un’occupazione a termine da almeno cinque anni. Secondo il Presidente di Svimez, se invece si ponderassero anche fattori come il reddito, il mercato del lavoro italiano sarebbe in condizioni disastrose, nonostante il 12-15% di lavoratori a rischio povertà abbia un lavoro, contro una media europea del 9,4%.Come rilanciare dunque il lavoro, soprattutto nel Sud del Paese?

Il prof. Giannola puntualizza

È ancora il prof. Giannola a puntualizzare che una delle misure più discusse, ovvero la decontribuzione, può risultare utile per le imprese meridionali, a patto che si riconosca che essa è stata finora uno strumento di assistenza e non invece un volano di espansione aziendale. Le imprese meridionali sono ancora troppo piccole e poco competitive; i distretti e le politiche del localismo non le hanno aiutato a crescere; la manifattura è diventata fragilissima, al confronto con analoghi settori industriali altri Paesi europei. C’è pure il rischio concreto che i nuovi provvedimenti legati ad Industria 5.0 finiscano per rafforzare ulteriormente le imprese del Nord a discapito di quelle più piccole localizzate nel Mezzogiorno.Dunque, se non si interverrà una volta per tutte sul sistema Sud, rendendo più spedite le transizioni previste dal PNRR (energetiche, climatiche, digitali, etc.) ma anche intervenendo seriamente sul piano delle infrastrutturazioni di trasporto e sociali, questi ritardi di politica economica ed industriale potrebbero riverberarsi sull’occupazione.

Le carenze

Ad esempio, la carenza di servizi all’infanzia e all’istruzione primaria pesa fortemente sull’occupazione femminile. Quest’ultima è cresciuta dal II trimestre del 2021 ad oggi, ma il tasso (52,6%) è di gran lunga inferiore a quello di tutti gli altri Paesi dell’Unione Europea. Se la donna vive sola, l’occupazione ha valori più alti rispetto a chi vive in coppia con figli, ma anche a chi non ha figli. In questa maniera, il gender gap si amplia, discriminando fortemente la popolazione femminile.In generale è il tema di un Sud poco attrattivo che, al di là di numeri temporaneamente favorevoli, rende il lavoro una “bomba sociale” per tutto il Paese. Tra il 2002 e il 2021, il Mezzogiorno ha subito un deflusso netto di 808.000 giovani al sotto dei 35 anni, di cui 263 mila laureati. Si va al Nord per cercare lavoro o trovarne qualcuno più remunerativo ed interessante, ma il trasferimento è soprattutto finanziario con le famiglie meridionali che si impoveriscono per consentire ai figli emigrati una vita migliore, almeno così si spera, nel Settentrione del Paese. Dove però i costi di vitto, alloggio e trasporto sono più alti.Chi resta al Sud quasi sempre deve letteralmente inventarsi il lavoro. In questo quadro, ci sono però anche storie di imprenditorialità ed innovazione molto interessanti, spesso raccontate da questo giornale, dove a cambiare non sono soltanto i lavori, nuovi che prendono il posto dei tradizionali, ma a modificarsi è l’intero impianto dell’occupazione.

Le start up

Un esempio è rappresentato dalle start up e dalle imprese giovanili che al Sud crescono significativamente. Andrebbero però aiutate di più con l’apporto massiccio di capitali di rischio pubblici e privati, servizi professionali avanzati e con un ecosistema favorevole alla loro nascita ed espansione.

*giornalista pubblicista, insegna Principi di Management all’Università degli Studi di CataniaCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA