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L'EDITORIALE

Le inchieste di Paternò e Tremestieri, i “Palazzi”, le “botteghe” e la questione im-morale

Chi scende in politica o lambisce gli ampi confini del sottobosco, deve sottoporsi agli accertamenti clinici più accurati e scoprire se gli anticorpi sono adeguati. Altrimenti ammalarsi è più che un rischio.

Di Antonello Piraneo |

Premessa la presunzione d’innocenza sempre e comunque, premessa la fiducia nella giustizia, premesso pure che le lancette dell’orologio delle inchieste devono compiere il loro giro prescindendo dal calendario delle elezioni, peraltro costantemente intasato, c’è da dire una volta di più che la questione morale sta tornando a essere così pregnante – al di là dei fatti di ieri – da sfociare in questione a-morale e im-morale, confidando che non si spinga a diventare u-morale in assenza di solidità valoriale: oggi ho un atteggiamento lineare, domani chissà.

Soprattutto, questa emergenza cronica – già nell’ossimoro c’è tutta la gravità del contesto – non ha colore.

Basti una considerazione sull’inchiesta di ieri, che riavvolge il nastro sino alle Europee del 2019: rispetto ad allora, alcuni nomi coinvolti o citati si ritrovano sotto tutt’altre bandiere e con in tasca tutt’altre tessere. E che non sia una questione cromatica ce lo dicono le cronache, ce lo sottolinea il Pugliagate, ce lo ricordano gli archivi dei giornali.

Nei corridoi di tanti, troppi Palazzi, da Bolzano a Capo Passero, l’aria è ammorbata dalla presenza di personaggi obliqui, capaci di non fare anticamera, trasversalmente amici di tutti, giacché abili e sfrontati nel cambiare maglietta e rubrica telefonica e sponsor.

Senza colore

Sulla questione morale nessuno ha l’esclusiva, ammoniva su queste pagine martedì scorso Salvo Andò, e appena ieri un osservatore acuto e laico come Sandro Corbino metteva l’accento sulla pericolosità delle “porte girevoli”, fenomeno sgradevole per chi dà peso alla parola “appartenenza” e sconosciuta a chi è politicamente “fluido”. La questione morale non ha colore perché chi è sensibile a “certi richiami della foresta” – questa l’analisi in estrema sintesi – cerca utilità schierandosi con la parte che amministra, governa, decide, e se si trova nelle fila di chi è minoranza e quindi non ha accesso alle “stanze giuste” è lesto a cambiare cavallo. Bussa a così tante porte che alla fine troverà chi gli apre. Come se le idee e la storia personale non contassero. Accade a destra, a sinistra, al centro e se non si hanno anticorpi robusti può succedere anche a chi è fuori dai giochi. Non è qualunquismo, semmai realismo.

L’uno-due nel Catanese (lunedì l’operazione nell’area paternese, ieri il blitz nell’hinterland con epicentro Tremestieri), colpisce per la pervasità dell’illegalità, che si annida anche in piccoli interessi di bottega (di farmacia, verrebbe da dire se le ipotesi di reato venissero confermate).

Mix micidiale

Tangentopoli divenne tale per le mazzette sui grandi appalti, metropolitane e ospedali, autostrade e carceri con l’“alibi” della necessità di finanziare i partiti, allora ritenute “chiese” di una democrazia incompiuta. Trent’anni dopo ci ritroviamo sempre più spesso con i piccoli centri al centro dell’attenzione degli inquirenti. Autocitarsi è odioso, ma chi scrive ha avuto un genitore che fu chiamato ad amministrare per i mesi dettati dai vari tipi di commissariamento grandi città come Palermo e Catania, un quasi capoluogo come Gela e un paesone come San Giovanni la Punta, «il più difficile», raccontava a tavola, perché parentele, familiarità e familismo in contesti più piccoli sono un mix micidiale e tanti riflettori sono spenti.

Ecco perché chi scende in politica o lambisce gli ampi confini del sottobosco, deve sottoporsi agli accertamenti clinici più accurati e scoprire se gli anticorpi sono adeguati. Altrimenti ammalarsi è più che un rischio.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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