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Violenza sulle donne: l’emergenza, l’ipocrisia

Insomma, ci siamo riempiti la bocca e lavati la coscienza, un po’ tutti. E poi? Cosa accadrà da domani, anzi da oggi nell’agenda politica, nella gerarchia delle notizie, nel confronto quotidiano a scuola come sui posti lavoro, al bar e sugli autobus?

Di Antonello Piraneo |

Abbiamo riempito le piazze, abbiamo fatto silenzio e rumore, abbiamo dipinto di rosso le panchine con la vernice e gli zigomi con il rossetto, cercato scarpette dello stesso colore per indossarle e sempre di rosso abbiamo illuminato i Palazzi. Abbiamo bacchettato la presidente del Consiglio perché ha deciso di essere “il” presidente e corretto i colleghi che titolano “l’assessore” e non “l’assessora” se la delega è assegnata a una signora, dibattendo in redazione sul perché si declinano al femminile soltanto i mestieri più umili e non le professioni più alte: «Vedi? Dici cameriera ma non ingegnera!» Touché. Insomma, ci siamo riempiti la bocca e lavati la coscienza, un po’ tutti. E poi? Cosa accadrà da domani, anzi da oggi nell’agenda politica, nella gerarchia delle notizie, nel confronto quotidiano a scuola come sui posti lavoro, al bar e sugli autobus?

L’interrogativo è retorico, perché questa tragicamente lunga data del 25 novembre, anticipata dalla morte di Giulia Cecchettin, lascia tanti nodi irrisolti. E impone anche qualche domanda scomoda per scalfire il muro dell’ipocrisia che mai come quest’anno si è alzato per celebrare la Giornata.Ecco, l’ipocrisia. Se si pensa che tradisca una mentalità patriarcale l’articolo determinativo utilizzato dalla premier per definire la propria carica, quale messaggio allora consegna all’opinione pubblica la foto degli scranni di Palazzo Madama desolatamente vuoti proprio nel momento dell’approvazione delle nuove e più stringenti norme contro la violenza sulle donne? Ci sono occasioni in cui i simboli hanno valenza sostanziale e non di facciata e quella di mercoledì lo era.

Ma è più agevole fare politica SULLA donna e non PER la donna, ideologizzando anche questi temi (ieri in corteo si agitavano cartelli che mettevano insieme i femminicidi e il no al Ponte sullo Stretto…) anziché battagliare, ma davvero, sulla distribuzione sociale delle ore di lavoro e aiutare così una madre a non scegliere tra famiglia e professione: le carriere sono bloccate banalmente più dall’impossibilità di essere ubique che dal pregiudizio di genere. Senza dimenticare che l’Italia è il Paese che soltanto nel 1981 (ovvero vent’anni dopo l’uscita di “Divorzio all’italiana”), ha cancellato dal codice il delitto d’onore.Ma l’ipocrisia riguarda da vicino anche i media: se la morte di Giulia non si fosse ammantata di giallo per il buco di sette giorni tra la scomparsa e il ritrovamento del corpo, se il suo fosse stato un femminicidio “secco”, “semplice” – oddio, che cosa orrenda ho scritto – questo delitto sarebbe stato il titolone e l’argomento dei talk per una settimana?

E soprattutto: giusto fare appello alla rivolta dal basso, alla reazione diffusa, sacrosanto portare l’educazione affettiva a scuola temendo il vuoto valoriale e il bombardamento sessuale dei nativi digitali (altrettanto si dovrebbe fare negli uffici e nelle fabbriche). Ma come conciliare questi toni emergenziali con l’istituto della giustizia riparativa, prevista dalla riforma Cartabia anche per chi si macchia di femminicidio? In tanti hanno auspicato che il sacrificio di Giulia sia uno spartiacque nell’atteggiamento dei cittadini tutti nei confronti della violenza di genere, un po’ come accadde – è stato autorevolmente rimarcato – dopo le stragi mafiose del 1992: le lenzuola bianche ai balconi, le lezioni antimafia a scuola per diffondere una diversa percezione del pericolo mafioso anche tra chi era distante da quell’ambiente, hanno suscitato benefiche sollecitazioni alla politica e alla borghesia imprenditoriale. Ma senza la conferma del 41 bis, del regime carcerario duro, forzando le regole “ordinarie” del diritto, si sarebbero ottenuti gli stessi successi nella lotta a Cosa Nostra e alle mafie? Non c’è risposta certa, o forse sì, ma c’è la necessità di dibattere – anche su queste pagine – su cose magari più concrete della grammatica di genere: utili a costruire l’Uomo di domani, non a fermare il violento di oggi.Riflettiamoci, almeno, se davvero riteniamo che la questione della violenza sulle donne sia un’emergenza che vada oltre l’onda emozionale di un giorno.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA