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L'intervista

Musumeci: «Macchè tagli dal governo Meloni! Per l’Isola previsti 30 miliardi»

Il ministro per le Politiche del Mare non si sottrae inoltre al confronto sulla provocazione di Paolo Valentino su “La Sicilia”: «dimensione strategica» ignorata?

Di Mario Barresi |

Ministro Nello Musumeci, nel nostro inserto di fine anno Paolo Valentino ha sostenuto la tesi che i governi nazionali, compreso quello in carica, non guardano alla Sicilia «in una dimensione strategica». E ha citato l’alibi di «un’autonomia da sempre fonte di mediocrità politica e corruzione diffusa». Come dargli torto…?«In parte ha ragione, sull’uso dell’autonomia, ma non sulle scelte molto nette di Giorgia Meloni. La “dimensione strategica” della Sicilia è legata alla sua posizione nel Mediterraneo e agli obiettivi del nostro governo: il Piano Mattei, che verrà illustrato alla Conferenza internazionale sull’Africa; l’autonomia energetica, con le nuove infrastrutture energetiche; le politiche industriali, per le quali cito ad esempio gli interventi sul petrolchimico e Termini Imerese; la Zes unica nel Mezzogiorno. E poi il Piano del Mare: porti, turismo, acquacultura, subacqueo, energie, nautica, cantieristica. Il presidente Meloni ha a cuore tutto il Sud, per il quale lavoriamo per superare inutili modelli assistenziali, rilanciando investimenti e occupazione».

Da titolare delle deleghe sul Mare, ci spiega come trasformare la nostra “isolitudine” da suggestiva cartolina in opportunità di sviluppo?«Ho fatto riferimento al Piano nazionale del Mare, approvato per la prima volta e con il plauso unanime di tutti gli operatori. Rappresenta uno strumento prezioso. Ma c’è un valore che mi preme sottolineare: la nostra centralità per una dimensione, quella della subacquea, sulla quale il governo ha avviato un lavoro organico. Non riguarda solo le materie prime o l’energia. La Sicilia è al centro del mondo perché i cavi che legano tre continenti, garantendone la connessione digitale, passano sotto di noi, nei nostri fondali. È un valore sul quale il governo sta elaborando un piano nazionale, che coinvolge asset di Stato come Leonardo».

In questo contesto il Ponte è soltanto uno spot elettorale a uso e consumo del governo di centrodestra?«Altro che spot, è una priorità. Il governo ha finalmente posto le condizioni necessarie per l’avvio delle opere. Quando ero alla guida della Regione è stato realizzato uno studio sul costo dell’insularità per i siciliani -oltre sei miliardi l’anno- che fu la base per la riforma costituzionale. Il valore di quest’opera è enorme: crescita economica, velocizzazione nel trasporto merci e persone, connessione con l’alta velocità, meno inquinamento, attrazione turistica. È fin troppo ovvio che assieme al Ponte sullo Stretto in Sicilia servono altre infrastrutture strategiche, tutte di competenza statale e negate per ottant’anni. Molte di queste sono già finanziate e nulla esclude che siano completate nel periodo, non breve, di sua realizzazione. A qualcuno, forse, dà fastidio che stavolta si faccia sul serio».

Una parte delle risorse per realizzare l’opera sullo Stretto saranno prese dal plafond regionale del Psc. Il presidente Schifani ha abbozzato un moto di rivolta, evocando il «rischio di conflitto istituzionale» e poi ha chiarito col ministro Salvini. Lei al posto del suo successore cosa avrebbe fatto?«Mi pare sia stato solo un fraintendimento. Cosa avrei fatto io? Quello che ho fatto da commissario per la Catania-Ragusa, sbloccata dopo trent’anni solo perché la Regione ha aumentato il suo cofinanziamento. Governavano a Roma M5S e Pd e nessuno ha attaccato il governo centrale. Gli imprenditori e i cittadini, che non capiscono gli atteggiamenti pretestuosi, vogliono opere e non polemiche».

Eppure da più parti – dai sindacati al Pd, passando per i grillini e tutte le opposizioni – piovono accuse al governo nazionale per aver tagliato risorse alla Sicilia.«Nei prossimi anni la Sicilia avrà risorse, su tutti i diversi fondi, per circa 30 miliardi di euro. Il dibattito dovrebbe caratterizzarsi su come spendere bene e tutto. Trovo faziosa, invece, la polemica sui tagli. Il Fondo sviluppo e coesione serve per finanziare opere che riconnettano la Sicilia alla Penisola, facendo diminuire il divario economico con il Nord: ma c’è un’opera che svolge questa funzione più del Ponte? Ovviamente no. E anche le risorse del Pnrr: sono state spostate le iniziative che non potevano essere completate entro il 2026, cioè quelle che avrebbero perso i finanziamenti e che saranno garantite su altri fondi. Ma c’è di più: nella rimodulazione del Pnrr abbiamo inserito maggiori risorse per le imprese green e digitali, che andranno, come ha anticipato al vostro giornale il ministro Urso, a beneficio dell’Etna Valley. Stessa cosa per l’aumento dei fondi sull’agricoltura voluti dal collega Lollobrigida. Quindi, per la Sicilia ci saranno più risorse e non tagli».

Da 14 mesi, dopo un quinquennio a Palazzo d’Orléans, vive la dimensione di ministro. Come cambia, da Roma, lo sguardo sull’Isola? Cosa le manca di più e cosa invece non rimpiange del ruolo di governatore?«Non è cambiato molto. Il mio impegno è continuare a servire la mia Isola, assieme al resto d’Italia. A differenza di quanto è capitato a me, oggi la Sicilia ha la fortuna di avere un governo nazionale che lavora in sinergia con quello regionale. Risorse enormi, il nuovo accordo finanziario che ha sbloccato quello imposto da Pd e M5S. Se oggi alla Regione si può procedere ad approvare la finanziaria entro gennaio, parlare di concorsi, avere le risorse aggiuntive per la sanità, si parla di 350 milioni in questa ultima legge di bilancio dello Stato, lo si deve anche all’attenzione di Roma. Nei prossimi giorni metterò a disposizione delle isole minori, per interventi di messa in sicurezza, un centinaio di milioni di euro, di cui potrà molto beneficiare la Sicilia con i suoi arcipelaghi».

Spesso lei utilizza la metafora della palude, dicendo di averla attraversata «senza prendere la malaria». Ed è vero. Tant’è che a Palermo c’è chi sostiene che dopo di lei si sarebbe abbassato il livello di impermeabilità rispetto a lobby e portatori di interessi vari. Le risulta?«Abbiamo alzato tanti muri e non ho motivo di pensare che l’asticella si sia abbassata: conosco il rigore morale del presidente Schifani. Detto questo, confesso che da parte di alcuni attori della politica vedo qualche segnale poco edificante. È sbagliato allungare ancora, da più di un anno, il commissariamento degli enti regionali e sarebbe un errore il legame tra nomine ed elezioni. Su questo mi aspetto che il gruppo di FdI assuma una posizione netta, per neutralizzare eventuali pretese».

Dopo l’ultimo caso del “pistolero” Pozzolo s’è riaperto il dibattito sulla qualità della classe dirigente di FdI. Secondo lei, uomo di destra anche quando eravate in pochi intimi, nel suo partito sono davvero tutti all’altezza della sfida di governare il Paese? E in Sicilia?«Smettiamola con questa fandonia della classe dirigente che non c’è. I siciliani hanno mandato a Roma una rappresentanza di livello in FdI, che non a caso esprime i vicepresidenti dei due gruppi parlamentari, Manlio Messina e Salvo Sallemi e parlamentari con ruoli importanti nelle commissioni. Alla Regione abbiamo persone valide, un capogruppo di grande esperienza e una guida dell’Ars, con Gaetano Galvagno, che sta consentendo al governo Schifani di portare avanti il suo programma senza subire agguati. Stessa cosa vale per i sindaci e gli amministratori locali. Semmai avverto un’esigenza: rafforzare il protagonismo del partito in Sicilia per assumere una guida autorevole della coalizione, essere percepiti cioè come motrice e non come trainata. È una riflessione che va avviata, magari incontrandosi con i gruppi parlamentari e tutta la classe dirigente. Stare insieme un paio di giorni penso possa essere utile».

Fra un po’ entrerà nel vivo la campagna elettorale per le Europee. Delle testate nazionali hanno parlato della discesa in campo di alcuni ministri, e lei fra questi, per rafforzare le liste di FdI nelle circoscrizioni. Se Giorgia Meloni glielo chiedesse si candiderebbe?«Ne ha parlato anche il premier nella conferenza stampa di fine anno: la mia candidatura non è all’ordine del giorno. Sono stato eletto per tre legislature al parlamento europeo, con numeri di tutto rispetto. Ora tocca ai giovani. In una piccola circoscrizione è importante che i candidati, non numerosi come nelle altre, siano di peso e in sana competizione, capaci di rappresentare mondi diversi e che siano riconosciuti e riconoscibili. Il partito farà, ne sono certo, le scelte più adeguate, valorizzando esperienze e radicamento».

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