Agrigento
Sbarco Lampedusa, tre nigeriani fermati per “gravissimi crimini”
AGRIGENTO – Tre nigeriani sono stati fermati dalla polizia di Stato di Agrigento per associazione per delinquere finalizzata alla tratta ed al traffico di esseri umani, sequestro di persona a scopo di estorsione, violenza sessuale, omicidio. Erano sbarcati a Lampedusa lo scorso 16 aprile. Il provvedimento emesso dalla Dda della Procura di Palermo ed eseguito dalla squadra mobile di Agrigento contesta anche alcune aggravanti, tra cui la transnazionalità del reato, la disponibilità di armi, l’agire con crudeltà e sevizie per futili motivi.
«Ha ucciso mio fratello e ha usato violenze anche su di me»: ed è questa l’accusa mossa da una donna migrante, tra gli sbarcati lo scorso 16 aprile a Lampedusa, rivolta ad uno dei tre nigeriani fermati dalla squadra mobile di Agrigento. Il racconto è agli atti dell’inchiesta aperta dalla Procura distrettuale di Palermo.
Il giovane africano indicato dalla donna quale autore del delitto del fratello avrebbe agito in quella circostanza, insieme ad un libico. «Gli africani, armati di fucile e vestiti in abiti civili, erano spregiudicati – racconta un altro testimone alla polizia – picchiavano brutalmente e senza alcun motivo i migranti. Personalmente – ricorda – sono rimasto vittima, in più occasioni, delle loro inaudite crudeltà. Una volta – dice – mi hanno legato le gambe e poi mi hanno picchiato ripetutamente con un bastone nella pianta dei piedi, procurandomi delle profonde lesioni e una frattura, tanto da impedirmi di camminare per tre mesi».
I migranti sarebbe stati minacciati con i kalashnikov, costretti a stare all’interno di un edificio, chiamato “Casa bianca”, in attesa di partire dalla Libia per raggiungere le coste italiane. E un altro dei retroscena che emerge dall’operazione che ha portato all’arresto dei tre nigeriani.
“Li privavano di ogni loro avere e li sottoponevano ad ogni sorta di violenza e vessazione, al fine di ottenere, da parte dei loro familiari, il versamento della somma necessaria quale prezzo della liberazione”, si legge nel decreto di fermo. Secondo i magistrati che hanno coordinato l’inchiesta, gli arrestati avrebbero “svolto le mansioni di guardiani armati (con fucili mitragliatori e pistole) della struttura sita in Sabratah ed utilizzata dal sodalizio per il concentramento di centinaia di migranti che venivano privati della libertà personale e sottoposti ad ogni sorta di vessazione – sino a quando non effettuavano prestazioni lavorative e/o i loro familiari e/o amici non disponevano, in favore dell’associazione, il pagamento delle somme richieste per la liberazione e/o la traversata del Mediterraneo a bordo di imbarcazioni fatiscenti ed inadeguate che venivano stipate oltre le condizioni massime”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA