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Andrea Camilleri e quel sogno “premonitore” nell’ultimo libro
ROMA – Il buon Salvo Montalbano, commissario di Vigata, «si sentì assuttigliare da ‘na gran botta di commozione, cavò fora il fazzuletto, si sciusciò il naso” vedendo lo scombinato e tenero, fedelissimo agente Catarella piangere di cuore: «e le lagrime gli scinivano lungo la facci, gli vagnavano il colletto, la cravatta», proprio come piangesse con tutto se stesso. Oggi, in questa scena dell’ultimo romanzo pubblicato da Andrea Camilleri, “Il cuoco dell’Alcyon” (Sellerio), diventa facile leggere che i suoi personaggi stanno piangendo la sua perdita, specie se lo identifichiamo col suo celebre eroe Montalbano che in queste pagine viene radiato dalla polizia, cacciato dal mondo e dal posto in cui si svolge la sua vita, suscitando la disperazione di Catarella e così di tutti gli altri suoi collaboratori.
Tante volte il commissario si è trovato in difficoltà anche gravi, in contrasti che cercano dei esautorarlo dalle sue indagini, ma è la prima volta che si giunge a una situazione tanto drastica e radicale. Scoprire in tutto questo un segno è una lettura tendenziosa ovviamente, come è facile fare a posteriori, cominciando dal vocione della domestica Adelina, per Salvo simile alla tromba del giudizio universale, proprio quella che «arrisbigliava i morti». Ma questo non basta, il fatto è che tutta la vicenda conserva sempre l’aria e l’ansia di un gran brutto sogno.
Il libro si apre, come è naturale per un giallo, con un morto, ma è un suicida, un operaio che per disperazione si impicca nella fabbrica di scafi in cui lavora e che il proprietario, un noto viveur, ha deciso di chiudere licenziando tutti i dipendenti. A questa vicenda aspra, realistica, se ne aggiunge poi una che sembra proprio più onirica, sin dall’apparire notturno di una nave: «Fu in quel priciso ‘ntifico momento che vitti stagliarisi contra la luna, come se fusse un’ombra cinisi o un effetto da ginematò, a lento a lento, prima l’àrbolo di prua, po’ a picca a picca tutta ‘ntera la sagoma di ‘na granni navi a vela, ‘na goletta», senza passeggeri e con poco equipaggio, dalla poppa abbastanza grande per fare atterrare un elicottero e che, scopriremo, «aviva la bella bitudini di ristari dintra a un porto il minimo ‘ndispensabili e po’ scompariri».
Insomma, ecco i problemi della crisi economica dei nostri giorni e assieme, quasi apparizioni per le vie di Vigata, un mondo di belle donnine, giochi, azzardi e potremmo dire di pirati che non possono non evocare quelli salgariani, tingendo il giallo di avventura. Un racconto però di mascheramenti, dove tutto pirandellianamente non è quello che sembra. Un racconto classico quindi di Camilleri, tutto da leggere, con in più la commozione odierna.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA