Notizie Locali


SEZIONI
Catania 13°

Fuga dall’inferno per diventare schiave

Fuga dall’inferno per diventare schiave del sesso sui marciapiede della Sicilia

Inchiesta sulla tratta delle nigeriane / ISOKE: COSì SONO FUGGITA

Di Mario Barresi |

Il biglietto è soltanto d’andata. Senza ritorno. Dalla Nigeria alla Sicilia, via Libia. Il costo del viaggio arriva fino a 15mila euro e per il biglietto, quando non è addirittura gratis, basta un minimo acconto. Perché il saldo avviene con la moneta più truce: le violenze, la schiavitù, la prostituzione. Fino all’ultimo centesimo, abuso dopo abuso. E la terribile crudeltà subita dalle protagoniste di questi viaggi la incroci nei loro occhi: nelle trazzere accanto al Cara di Mineo, sotto gli ombrelloni sul ciglio della vecchia statale Catania–Gela, nei bordelli palermitani di Ballarò, negli appartamenti borghesi di Ragusa. E quando provi a chiedere a una nigeriana se si sta peggio lì o qui, rischi di sentirti rispondere: «Per noi un giorno in Nigeria è come cent’anni all’inferno», così come fa una donna sbarcata quest’estate a Lampedusa. Chi sono? Quante sono? Da dove arrivano? Dove vanno a finire? E, soprattutto, in mano a chi finiscono le nigeriane, spesso minorenni, che sbarcano nell’Isola? Una precisa mappa è venuta fuori dal dossier di un seminario organizzato a Palermo dall’ong Ciss (Cooperazione Internazionale Sud Sud), nell’ambito del progetto “Connect”, assieme a partner di Romania e Portogallo.

LA TESTIMONIANZA DI ISOKE: COSI’ SONO RIUSCITA A FUGGIRE

Le tappe del viaggio

Partiamo dal viaggio. La rotta è ormai consolidata: Benin City–Kano (Nigeria), poi Agadez (Niger), quindi le tappe libiche di Gatron, Saba e Tripoli. E a questo punto sono significative le indagini della Procura di Palermo, nelle operazioni “Glauco” e “Glauco II”, descritte dal pm Calogero Ferrara che parla di «una situazione drammatica in particolare per le donne, le quali non potendo affrontare il pagamento, venivano aggredite». E ricorda come «le testimonianze di alcune delle sopravvissute riportano le violenze subite in Libia, in centri descritti come campi di concentramento dove le donne venivano stuprate da somali e da libici». La tratta delle nigeriane è comunque antecedente al boom degli sbarchi, che ha semmai modificato il modello di trasporto. Fulvio Vassallo Paleologo (Altro Diritto Sicilia), sottolinea «una diversa organizzazione logistica della tratta in particolare delle giovani donne nigeriane, che a differenza del passato, avviene attraverso gli sbarchi anche per via dell’inasprimento delle misure di controllo nei passaggi aeroportuali». Circostanza confermata dalle testimonianze raccolte dalla ricercatrice Eva Lo Iacono: «La stragrande maggioranza delle nigeriane arriva via terra, attraversando il deserto. Alcune ci hanno detto che durante il loro viaggio via terra sono state ospitate in una casa, nota come connection house. A Tripoli, le donne vengono chiuse in alcune case, chiamate African houses: si tratta essenzialmente di bordelli dove le donne vengono torturate e costrette alla prostituzione».

L’identikit: 15–24 anni

L’identikit di queste donne è tracciato da Oim (Organizzazione internazionale delle migrazioni): hanno un’età compresa fra i 15 e 24 anni, anche se si conferma la tendenza delle minorenni a dichiarare la maggiore età al momento dello sbarco: spesso il livello di istruzione è basso; le spese di viaggio sono pagate dall’orgaI nizzazione e non direttamente dalle ragazze; le condizioni di vita in Libia sono difficili (in molte circostanze vengono avviate alla prostituzione già in Libia per potere coprire vitto e alloggio, a meno che sia la “madame” a coprire i costi inviando il denaro come riscatto); molte ragazze giungono agli sbarchi con segni evidenti di violenza fisica o psicologica; in alcune circostanze sono accompagnate da donne e uomini che dicono di essere familiari ma effettivamente non lo sono; non vi è una conoscenza effettiva del debito da pagare. «Giungono in Sicilia con un contatto telefonico già in mano, che nel giro di un brevissimo arco di tempo può portarle nei luoghi di sfruttamento». Secondo i dati registrati dall’Oim in Sicilia «la tratta riguarda solo recentemente anche gli uomini destinati allo sfruttamento sessuale, ed inoltre i minori di origine egiziana».

Il boom: +300% in un anno

Il “Team anti–tratta” dell’Oim denuncia un altro dato fondamentale: «Il trend di crescita significativa nella presenza di giovani donne nigeriane agli sbarchi già riscontrato nel 2014; per il 2015 si conferma un dato positivo rispetto all’aumento di circa il 300% registrato nel passaggio dal 2013 al 2014 nella presenza agli arrivi». Il patto fra le mafie Lo Iacono sostiene che «la struttura del crimine organizzato nigeriano è di stampo mafioso». E descrive i tre livelli: la “casa madre” in Nigeria, i gruppi semiautonomi che si occupano del tragitto e le cellule criminali attive nel posto di destinazione. E in Sicilia c’è una sorta di «patto di non belligeranza», se non di una vera e propria «integrazione», con la mafia ancora incapace di riuscire a gestire in autonomia la tratta – così come annota la Direzione investigativa antimafia nella relazione semestrale, consegnata nelle settimane scorse al Parlamento e al ministero dell’Interno. Cosa Nostra consente ai gruppi organizzati stranieri «di muoversi in settori dell’illecito ritenuti “secondari” come lo sfruttamento della prostituzione, la contraffazione e lo smercio di prodotti falsi, il traffico e lo sfruttamento di esseri umani». Ma gli equilibri sono in rapida evoluzione, come dimostrano numerose indagini in corso: a Ragusa, ad esempio, la “filiera” della tratta potrebbe mostrara, a breve, delle novità significative.

I marciapiedi di Ballarò

Qual è la destinazione siciliana della tratta delle nigeriane? Fra’ Loris D’Alessandro, volontario dell’Unità di strada della Caritas, ricorda – smentendo in parte le risultanze della Dia – «la collaborazione stretta tra la criminalità nigeriana e quella locale». E afferma: «Per quanto riguarda la tratta delle nigeriane la criminalità nigeriana ha il suo quartier generale a Ballarò. La mafia palermitana controlla quartieri interi, spaccio, furti, pizzo dei negozianti. E non si muove nulla senza che essa dia il consenso. Prova ne è il fatto che fa pagare l’“affitto” del marciapiede alle ragazze». Le quali «in strada sono in continuo aumento, sempre più piccole, nascondono l’età, ma sono bambine di 14–16 anni». La provenienza? «Ci raccontano di provenire da centri di accoglienza di varie parti della Sicilia. Dopo una prima accoglienza, scappano dai centri diventando vittime dei criminali e avviandosi alla prostituzione». L’esperienza del Pellegrino della Terra, associazione impegnata da anni in prima linea a sostegno delle donne nigeriane vittime di tratta, ha dimostrato come rispetto al passato «sia difficile conoscere quali trafficanti condizionino le vittime, dato l’intreccio complesso di organizzazioni che operano nella rete di sfruttamento». Perché «le vittime siglano un contratto che dovranno rispettare, al quale tra l’altro prestano giuramento consolidato dal ricorso al voodoo o Juju». E inoltre «quando in passato l’associazione è stata in grado di supportare alcune donne nei percorsi di denuncia, i gruppi organizzati in Nigeria hanno colpito a morte i relativi familiari per ricattare le vittime». Così in passato «non è stato possibile ad esempio affrontare una “madame” con grande potere che risiedeva a Palermo che le derivava dallo sfruttamento di circa 500 giovani donne in diverse parti d’Italia».

Le strade del Cara Mineo

Tutto quello che viene raccontato nel dossier del seminario di Iss trova riscontro nella realtà. «Non posso abortire il mio bambino, se io ho un figlio adesso e abortisco… Io non voglio, io non voglio uccidere. Io piango ogni giorno», è la testimonianza di una prostituta nigeriana (che dice di vivere al Cara di Mineo), raccolta da Antonio Condorelli per L’Aria che tira, in un racconto in cui si contano gli aborti (25 in un anno) di donne extracomunitarie nel circondario calatino. Michele Giongrandi, ostetrico dell’ospedale “Gravina” di Caltagirone descrive «la sofferenza che traspare dagli occhi e dai racconti». Rivelando: «Alcune vengono con delle forti emorragie e non dicono di aver abortito, ma hanno preso delle sostanze particolari. Alcune sono già violentate durante il viaggio, soprattutto nelle carceri libiche, altre rimaste gravide dentro il Cara di Mineo».

Catania: orrori “voodoo”

A Catania, in via Ventimiglia, qualche tempo fa gli agenti della Mobile hanno fermato due “maman” nigeriane, accusate di riduzione in schiavitù, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Liberate anche due giovanissime vittime connazionali delle sfruttatrici. Potevano uscire di casa solo per prostituirsi sulla Catania–Gela e a San Berillo. L’intero incasso, ogni notte, doveva essere consegnato alle due “maman”: da 30 a 50 euro a prestazione. Durante il giorno dovevano anche “servire” le due, anche facendo duri lavori domestici. Potevano uscire di casa solo accompagnate e dovevano rendere conto anche di ogni telefonata che facevano. Tutto per sdebitarsi di 30mila euro, con l’aggravante di quello che gli inquirenti, nell’ordinanza di arresto delle due maîtresse, definiscono «il metodo dell’ingaggio per debito, legato agli antichi riti voodoo». Oltre a vendere il proprio corpo e a fare la schiava in casa, una delle due ragazze è stata costretta a mangiare il cuore crudo di una gallina.

twitter: @MarioBarresi

[HA COLLABORATO GIOACCHINO SCHICCHI]COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA