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Il vino in Sicilia, un ottima annata tra Rinascimento e crisi d’identità

Il vino in Sicilia, un ottima annata tra Rinascimento e crisi d’identità

A Taormina gli esperti di tutto il mondo giudicano l’enologia dell’Isola: ecco i loro pareri

Di Mario Barresi |

TAORMINA – Si fa presto a dire che sarà un’ottima annata. Anche perché – diciamolo – non ci sono più le ottime annate di una volta. Non in natura, ma nel mercato. No, non parliamo di qualità del vino siciliano. Sempre più apprezzato nel mondo, tanto da meritare la copertina dell’ultimo numero del prestigioso Wine Spectator con un reportage all’interno intitolato “Rinascimento in Sicilia”. Anche se – sussurra qualcuno che in fatto di bottiglie la sa lunga, anzi lunghissima – «fino alla scorsa stagione c’era chi vendeva il vostro vino a 20 centesimi al litro, un insulto al Padreterno! ». E la vendemmia 2014? Se ne parla in questi giorni – fra una degustazione, un seminario e uno show cooking – a “Taormina Gourmet”, evento dell’enogastronomia siciliana organizzato da “Cronache di Gusto” dell’incorreggibile Fabrizio Carrera. Che riesce a dare il valore aggiunto del non parlarsi addosso, perché ad affrontare i temi della qualità, degli sbocchi di mercato e della prospettiva Expo 2015 non è soltanto la gente di vino di casa nostra. Ma occhi indiscreti e bocche sincere che vengono da lontano. E analisti rigorosi a spiegarci dove possono andare a finire le nostre bottiglie visto che la crisi riduce i consumi autoctoni.   La vendemmia di quest’anno, partita a fine luglio con le uve precoci per le basi spumante, si concluderà nei primi giorni di novembre con le uve di Nerello Mascalese, a quota mille metri sull’Etna. Quasi cento giorni di raccolta, un record di durata. Più lunga, ma meno feconda: calo di 20-25% per le uve a bacca bianca, fino a -30% per quelle a bacca rossa, soprattutto nella parte occidentale dell’Isola. «La vendemmia migliore degli ultimi vent’anni», esultano però i produttori. Voci ottimistiche rafforzate, a Taormina, da Mariangela Cambria, vicepresidente di Assovini. Il valore aggiunto? «Le tante isole che raccontano storie diverse di vino dentro una sola isola: siamo uniti nella diversità». Anche un’altra “donna di vino” per eccellenza, conferma questa visione dall’esterno. Camilla Lunelli, vertice “rosé” della cantina Ferrari dopo oltre un secolo di vita, ci dà la fotografia dell’Isola scattata dal Trentino: «Nell’ultimo decennio un salto di qualità straordinario, prima la Sicilia era imprigionata dall’immagine del vino da taglio e ora è apripista del boom di tutto il Sud». Decisivo il “fattore D”? «Importante, perché le donne della mia generazione hanno un approccio più semplice ed emozionale al vino, senza sovrastrutture né ansia da prestazione». Insomma: «Non dobbiamo far finta di saperla lunga».   Ma ci vuole anche dell’altro, perché «il consumatore è cresciuto e c’è una maggiore selezione sul mercato», ricorda Cambria. Ciò significa che non ci saranno più imbevibili Nero d’Avola agli scandalosi prezzi del boom modaiolo? Forse sì, speriamo di sì. Lo speriamo anche per quelli che “Lady Cottanera” definisce «i giovani temerari del vino siciliano», protagonisti di un ricambio generazionale «difficile davvero». Spesso «io dico “me ne vado, me ne vado”, ma alla fine sono sempre qui. E con me tanti altri colleghi coetanei, il che dovrebbe far riflettere la politica siciliana». Già, la stessa politica che «è una palla al piede per il vino siciliano, condizionato dalla politicizzazione delle coop, tranne qualche eccezione come Settesoli, e dalla caccia alle sovvenzioni e al reddito agricolo in un contesto di colpevole abbandono della viticoltura». Parole, pesantissime, di Daniele Cernilli, “papà” dei Tre Bicchieri del Gambero Rosso. Il rigoroso critico ammette che «dal 2000 la Sicilia è stata al centro di una rivoluzione, con una generazione di produttori che ha dato qualità e professionalità».   Cita i casi di successo – «da Planeta a Tasca d’Almerita e Rallo» – ma poi mette subito il dito nella piaga: «Fino all’anno scorso si svendeva vino sfuso, distruggendo la viticoltura per poi piangersi addosso». Le responsabilità? «Di una politica incompetente, dovreste nominare Diego Planeta assessore all’Agricoltura a vita», sbotta Cernilli. Che ricorda anche «un’altra circostanza favorevole». Ovvero: «I maggiori importatori negli Stati Uniti sono tutti d’origine siciliana e voi non ne approfittate minimamente». Un consiglio utile, come quelli che a “Taormina Gourmet” oggi arriveranno dallo studio “Il futuro del vino (e il vino del futuro) ” presentato da WineMonitor di Nomisma. Qualche anticipazione? Il mercato italiano è in continua contrazione: dall’inizio del nuovo millennio si dimezzati i bevitori quotidiani e ridotti del 29% i consumi, con un calo di produzione del 13%. In compenso c’è una domanda di vino che schizza sui mercati esteri: i consumatori russi sono cresciuti del 121%, quelli cinesi del 57% (con un impressionante +688% di chi beve bollicine fra il 2008 e il 2013), anche negli Usa si registra un +37%. Le strategie possibili? Puntare sul vino biologico, l’unico in crescita anche nel mercato italiano con un exploit d’importazione in America. Un’occasione in più per anche per i produttori dell’Isola. Che continuano a ripetersi il mantra della qualità. Zenit tutt’altro che lontano. Anche perché, ricorda il critico Cernilli, «bisogna essere dei somari per fare un vino cattivo in Sicilia». twitter: @MarioBarresi

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