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La Procura di Palermo ha chiesto nove anni di carcere per Mannino

La Procura di Palermo ha chiesto nove anni di carcere per Mannino

L’ex ministro Dc è imputato nel processo sulla trattativa Stato mafia che si sta celebrando con il rito abbreviato. E’ accusato di di minaccia a corpo politico dello Stato: per l’accusa fu il “regista”

Di Lara Sirignano |

PALERMO – Lo definiscono il motore primo, l’istigatore del patto scellerato che pezzi dello Stato avrebbero stretto con i boss negli anni del tritolo mafioso. L’input a intavolare il dialogo con il nemico l’avrebbe dato lui, Calogero Mannino, parlamentare Dc, tre volte ministro, certo, dopo l’assassinio di Salvo Lima, di essere il primo nella lista degli obiettivi di Cosa nostra. Un ruolo importante nella trattativa, quello tratteggiato dai pm di Palermo, che per Mannino, oggi, hanno chiesto la condanna a 9 anni di carcere: 13 anni e 6 mesi scontati di un terzo per la scelta del rito abbreviato.   Siamo nel processo stralcio sulla trattativa Stato-mafia: il principale, che si celebra in ordinario davanti alla corte d’assise, è ancora in fase di istruttoria dibattimentale. Nell’abbreviato, rito per cui l’imputato ha optato, si è ormai alle battute finali. In tre udienze i pm Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia hanno ricostruito movente e condotte dell’ex ministro che è accusato di minaccia a Corpo politico dello Stato. Grazie ai suoi rapporti coi carabinieri del Ros di Antonio Subranni e Mario Mori, imputati nell’altro processo, terrorizzato per la propria sorte, avrebbe “sponsorizzato” l’avvio di un dialogo con le cosche per salvarsi la vita.   Dialogo che, a dire della Procura, il Ros avrebbe tentato prima con Totò Riina, attraverso Vito Ciancimino, poi con Bernardo Provenzano. I rapporti con Subranni, stretti tramite il maresciallo Giuliano Guazzelli, poi assassinato, sarebbero documentalmente provati: una serie di appunti in agende proverebbero gli incontri tra Mannino, l’ex ufficiale e l’ex numero due del Sisde Bruno Contrada successivamente condannato per mafia. L’input dell’ex ministro avrebbe aperto la strada del dialogo. Che avrebbe portato alle concessioni fatte a Cosa nostra: l’alleggerimento di quel 41 bis che da sempre i clan consideravano intollerabile.   Ed è proprio sul carcere duro che si è soffermato oggi il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, durante la parte finale della requisitoria, parlando di un vero e proprio progetto finalizzato ad annullarne gli effetti. Progetto portato avanti anche attraverso la nomina al vertice del Dap di personaggi compiacenti – come Francesco Di Maggio e Adalberto Capriotti – pronti ad adottare le misure necessarie a depotenziare i rigori del 41 bis.   Mannino, che resta per l’accusa regista del copione, sarebbe arrivato a chiamare Di Maggio – lo racconta l’ex scorta del numero due del Dipartimento – per chiedergli di revocare i provvedimenti di carcere duro. Cosa che avvenne nel ‘93 quando l’allora ministro della Giustizia Giovanni Conso fece scadere 334 41 bis. È la prova – per la Procura – che la trattativa si perfezionò. E a costo di tanti morti. Perché Cosa nostra, durante le prove di dialogo, non ha mai smesso di piazzare le bombe.

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