Riscossione Sicilia, voragine miliardaria
Riscossione Sicilia, voragine miliardaria Incassa 320 milioni su 4 miliardi di crediti
La partecipata regionale fra affittopoli, consulenze allegre e debiti
Una Ferrari guidata da un cieco. Un bolide, con le gomme forate da decenni di inefficienza, che va a folle. Lento, nelle regie trazzere del malaffare quando non della mafia. E finisce il suo sgangherato cammino contro un muro. Quello dei numeri. Basta leggerne qualcuno, per capire che Riscossione Sicilia Spa (azienda partecipata al 99,88% dalla Regione, «incaricata di gestire la riscossione dei tributi e delle altre entrate» nell’Isola) è un abisso senza fondo. Cifre allucinanti. A fronte di un monte-crediti teorico di oltre 15 miliardi, la percentuale media di riscossione – quella della “sorella maggiore” Equitalia, per intenderci – sarebbe di circa il 25%. In soldoni: la Sicilia dovrebbe avere 4 miliardi. Ma l’«unico gabelliere al mondo che rischia il fallimento» (copyright Rosario Crocetta) sapete quanto incassa? Appena 320 milioni. Ovvero: il 2% di quanto potrebbe riscuotere se tutti pagassero le cartelle esattoriali (ipotesi inverosimile), ma soprattutto l’8% di quanto invece dovrebbe incamerare senza troppi affanni.
«Un quadro sconcertante», lo definisce Antonio Fiumefreddo. L’avvocato catanese, fidatissima testa d’uovo di Crocetta, dopo aver completato lo spinoso dossier su Sicilia Patrimonio Immobiliare, è presidente di Riscossione Sicilia da tre settimane. Assieme a lui, nel nuovo Cda, Maria Filippa Palagonia (dirigente regionale, già al vertice di Seus 118) ed Eustachio Cilea (esperto in revisione legale dei conti). «Ci aspetta un lavoro durissimo, ma abbiamo già riscontrato una forte motivazione da parte di management e personale e uno spirito costruttivo da parte dei sindacati. E anche qualche inversione di tendenza rispetto al passato nell’operato degli ultimi due miei predecessori». Ma allora, se non dei 701 dipendenti (fino a qualche anno fa erano 1.500) disseminati in tutta l’Isola, per pagare gli stipendi dei quali si impiega il 98% dei 50 milioni del bilancio societario, chi ha la responsabilità di un’azienda che fa acqua da tutte le parti? Senza che oggi si noti alcuna differenza rispetto all’epoca in cui l’esattoria in Sicilia era affidata ai cugini Ignazio e Antonino Salvo, legati a mamma Regione da un contratto “vuoto per pieno”: contratti miliardari (di lire) con prezzi fissi a prescindere dai tributi che gli esattori di Cosa Nostra riuscivano a portare nelle casse delle Regione.
Ma è meglio far parlare i numeri. Quelli, ad esempio, della denuncia del governatore nell’intervista pubblicata ieri sul nostro giornale su«una transazione scandalosa» attraverso la Serit Sicilia, venduta nel 2011 alla Regione da Montepaschi che «ci ricatta perché vuole 80 milioni che ci ha prestato per comprare delle sue azioni, che non si sa a che ci servivano». È soltanto la punta dell’iceberg dello scandalo. Certo, quella transazione c’è stata davvero. E i due contraenti, senza che a Palermo nessuno si degnasse di fare una due diligence (analisi dei conti) sul valore “autodeterminato” da Siena, fissarono un «prezzo provvisorio». Che, nel silenzio – reciproco e non disinteressato – è diventato definitivo. Una «disonestà dei numeri», la definisce il presidente. Che parla di «ingegneria finanziaria molto prossima al falso in bilancio».
E così si arriva a un paradosso davanti al quale anche Pirandello impallidirebbe: gli esattori… indebitati. Con Montepaschi, per circa 7 milioni l’anno di rata di mutuo; ben poca cosa rispetto all’esposizione di Riscossione Sicilia con le banche, 162 milioni, a cui si aggiungono i 75 milioni di debiti con i fornitori privati. Che minacciano di pignorare i beni ai pignoratori per antonomasia. Ma la querelle fra la partecipata regionale e Montepaschi, appena sussurrata, contempla anche reciproche rivendicazioni: Riscossione Sicilia chiede 20 milioni di conti in sospeso, il colosso bancario controbatte sventolando altri 22 milioni di presunto credito per rimborsi e tecnologie fornite. A proposito: Montepaschi incassa dall’azienda siciliana altri 3,5 milioni l’anno per il software e l’archivio dei contribuenti. «Che di fatto è quello portato via nel 2011», al momento della rottamazione di Serit Sicilia. Non più aggiornato, ma, dettaglio ben più grave, basato su un’unica fonte: l’Anagrafe tributaria. Un sistema da preistoria, “affittato” a un prezzo fuori mercato, all’epoca di programmi acchiappaevasori come il “Serpico” utlizzato da Equitalia. Per essere chiari: da Reggio Calabria a Bolzano se il signor Rossi deve una somma all’erario e si dichiara nullatenente, scattano controlli incrociati su conti bancari, auto, vacanze e via evadendo. In Sicilia, invece, ci si ferma al primo controllo, quello più banale. E anche più inutile, poiché la quasi totalità dei furbi risulta ufficialmente con le pezze al sedere. «Credito inesigibile». E il “buco” delle cartelle non incassate s’allarga a dismisura.
«Ho già incontrato i vertici di Equitalia, col pieno sostegno dell’assessore Baccei: ci daranno software e formazione per allinearci al resto d’Italia», anticipa il presidente. Ma nel resto del Paese non c’è la pacchia esattoriale siciliana. Circa due milioni di affitti l’anno, «canoni sopravvalutati almeno del 50% secondo i calcoli dell’assessorato». Nel dettaglio 42mila euro al mese per la sede di Catania (di proprietà riconducibile a Domenico Proto, imprenditore nel campo dei rifiuti, con qualche guaio giudiziario per la sua “Oikos” nelle discariche etnee), che diventeranno 76mila al mese dal 2016, per i locali in “stile Google” di corso Sicilia. «Ho avviato la procedura per la rescissione, a Catania la Regione ha gli immobili di Esa e Irfis vuoti», dice Fiumefreddo. Che non tralascerà Siracusa (27mila euro al mese) e Ragusa (30mila al mese). E, ovviamente, le sedi di Palermo. Una in affitto: 450mila euro l’anno. L’altra di proprietà dell’ente. Ma con un salatissimo contratto di manutenzione e pulizia: 900mila euro l’anno. «Quando ho chiesto il perché di questo costo spropositato mi è stato risposto: perché il palazzo è vecchio», racconta il presidente. L’immobile è del 1985.
L’altro versante delle spese allegre è quello delle consulenti legali. L’azienda ha fra il personale 10 avvocati abilitati, ma si occupano di altro. E quindi bisogna pagare le parcelle a un esercito di avvocati – in tutto 450, dai principi del foro ai neoabilitati, purché amici degli amici – affinché la società sia assistita nei contenziosi. «Mercoledì (domani per chi legge, ndr) avvierò la costituzione di un ufficio giuridico-legale con le risorse interne», annuncia Fiumefreddo. Riservandosi di verificare «un eventuale uso clientelare dell’avvocatura» e un contenzioso «su cui nutro forti dubbi». Ce ne vorrebbero migliaia, allora, di avvocati. Per rendere efficiente la riscossione. Che invece è un disastro. Oltre un miliardo di crediti sui Comuni (fra cui Catania debitore per 15 milioni e Palermo per 210mila euro), «un pessimo segnale morale da parte delle istituzioni nei confronti dei cittadini a cui chiedono di pagare le tasse». Nota bene: i Comuni «non sono esecutabili»; per cui o pagano o nisba. Ma il numero che brucia sulla pelle del neo-presidente è una percentuale: 3,66%. Ovvero i (pochissimi) debitori con reddito superiore a 500mila euro che in Sicilia pagano i tributi dovuti, a fronte del 25,34% di “onesti” con meno di 50mila di stipendio.
«È la sconfitta della nostra democrazia», sbotta Fiumefreddo. Che eredita (si fa per dire) 3 miliardi di «non riscosso, non prescitto, ma di fatto inesigibile» e un altro miliardo per il quale bussare alla porta dei privati. Ma cosa c’è dietro al 96% di evasione di contribuenti straricchi? Prestanomi, furbi e truffatori, nella migliore nelle ipotesi. «Ma c’è anche riciclaggio di mafiosi e corrotti su cui si fonda l’economia criminale in Sicilia». Una sfilza di nomi nei tabulati degli «imprendibili», dove c’è di tutto: dall’anonima quarantenne etnea con 85 milioni di cartelle all’arcinoto imprenditore della pubblicità e del turismo con 13 milioni non esigibili; l’elemento in comune è che sono entrambi nullatenenti. «Nessuno, prima, aveva pensato di trasmettere questi tabulati alle Procure, alle quali sarebbero utilissimi. Faremo un protocollo d’intesa per l’utilizzo, oltre a uno per la legalità con le Prefetture», afferma il presidente Fiumefreddo. Che ha già incontrato il ministro della Giustizia, Andrea Orlando e giovedì vedrà il comandante regionale della Guardia di finanza, Ignazio Gibilaro, andando a Palermo senza auto blu, ma con l’autobus rosso, quello della Sais.
Un dossier che s’ingrossa giorno dopo giorno sulle «incredibili anomalie» di Riscossione Sicilia. Ma anche un altro file sul computer: il nuovo piano industriale. «Con le priorità che mi ha chiesto il presidente Crocetta: equità, efficienza, lotta agli sprechi e al malaffare, senza lacrime e sangue per i dipendenti». Una missione impossibile? «Ci proviamo e vogliamo riuscirci presto», assicura Fiumefreddo. Altrimenti? «Portiamo i libri in tribunale».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA