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Tamponi, laboratori al limite

Di Enrica Battifoglia |

Roma. La capacità dei laboratori di analizzare i tamponi si sta avvicinando al limite massimo, mentre il ricorso ai test molecolari rapidi è ormai una necessità sempre più diffusa, anzi un «disperato bisogno» come si legge in un articolo pubblicato recentemente sul New England Journal of Medicine, ma non bisogna dimenticare che questi tamponi non possono dare la patente di negatività. Nel frattempo i laboratori, al Nord come al Sud, indicano un forte aumento della carica virale, ossia delle copie di materiale genetico del nuovo coronavirus presenti in un millilitro di materiale biologico prelevato con il tampone.

«Nell’80% dei casi positivi è ormai superiore a un milione», ha detto all’Ansa il virologo Francesco Broccolo, dell’università di Milano Bicocca e direttore del laboratorio Cerba di Milano. «Spessissimo – ha aggiunto – la carica virale è anche più elevata, fino a miliardi in soggetti fra 30 e 60 anni asintomatici o sintomatici».

Il dato indica che le infezioni sono recenti: «Una carica virale molto alta – ha osservato Broccolo – è indice di una nuova infezione attiva». Indica cioè che «l’infezione è recente e primaria, ossia che non persiste da mesi». È una situazione comune in tutta Italia, a Nord come a Sud: «A partire da settembre stiamo osservando un aumento della carica virale», ha detto Massimo Zollo, responsabile dellaTask force sul nuovo coronavirus finanziata dalla Regione Campania e attiva presso il Centro per le biotecnologie avanzate Ceinge. Si nota inoltre che l’età media delle persone positive sta scendendo. I dati finora raccolti sono comunque preliminari. Anche la Campania è al lavoro per potenziare la rete dei laboratori di almeno 20 unità, che potrebbero portate la capacità di eseguire i tamponi dagli attuali 7.000 al giorno a 15.000 al giorno.

A livello nazionale la capacità dei laboratori di fare tamponi sta raggiungendo la soglia massima di 200.000 al giorno. «Siamo partiti a marzo con 30.000 tamponi al giorno in Italia e il massimo è stato raggiunto il 21 ottobre con 177.000 per quanto riguarda il tampone molecolare classico, ma l’asticella si alza ormai in modo molto faticoso. È stata dura superare i 150.000 e ora si alza lentamente», ha osservato Broccolo.

I “contact tracer”, operatori dei dipartimenti di Salute pubblica delle Aziende Usl che in questi mesi non si sono mai fermati e ora, con l’aumentare dei casi di virus, lavorano già ben oltre i ritmi di marzo e della primavera, lanciano un disperato Sos: «A marzo era la fase della disperazione – racconta all’Ansa Maria Rosa Fiorentino, assistente sanitaria a Bologna – con situazioni difficilissime di alcune persone che non sapevano nemmeno dove erano ricoverati i parenti. In estate siamo stati percepiti come “disturbatori” delle vacanze: alcuni evitavano di risponderci per timore di non partire. Ora siamo di nuovo in affanno per l’alto numero di casi: fino a 20 giorni fa riuscivamo a chiamare le persone in pochissimo tempo e a mettere tutti in quarantena, ora siamo in ritardo perché sono veramente tanti» e «i ritmi» sono tornati quelli di marzo».

Ecco allora che arrivano in soccorso i test molecolari rapidi, in grado di rilevare solo i casi positivi con un’alta carica virale: sono necessari, ha detto il virologo, «in un contesto pandemico in cui c’è un disperato bisogno di fare i tamponi per tracciare i casi. Si tratta di un problema mondiale».

Si è scelto così di giustificare il ricorso al test rapido antigenico per identificare i soggetti con alta carica virale. Non va però dimenticato che «è un test circa mille volte meno sensibile del test molecolare e questo ha sollevato nel mondo scientifico la discussione se sia etico o meno utilizzarlo, ma si è scelto di farlo alla luce della “disperata necessità” di identificare i casi positivi. Alla luce di questa situazione il test rapido aumenta la potenzia di fuoco della capacità di eseguire tamponi, purché non gli si dia una patente di negatività».

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