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Legalità
Anti racket, Paolo Terranova: «Serve una nuova legge contro chi paga il pizzo»
Secondo il presidente della Fai Sicilia anche le nuove generazioni devono fare sentire la propria voce
Il comandamento degli industriali è “ripudio delle organizzazioni criminali” e “la società adotta le misure più idonee atte a prevenire il pericolo di un proprio coinvolgimento”. Il codice etico degli industriali (che nel sito internet di Confindustria Catania non è pubblico) è chiaro e non ci sono sconti anche se, ormai è risaputo, il pizzo in Sicilia viene pagato a tappeto: dal grande imprenditore che muove milioni di euro al piccolo commerciante.
Con le ultime inchieste, in particolare quella di Catania, emerge che le aziende pagano e non si ribellano. Il richiamo del pg catanese Carmelo Zuccaro è stato chiaro: gli imprenditori non denunciano. «E certo che non lo fanno – dice Paolo Terranova, presidente della Fai Sicilia – a molti conviene così. Il dato preoccupante che emerge dall’indagine è che non ci sia stato uno scatto d’orgoglio da parte delle nuove generazioni. C’è una sorta di assuefazione al fenomeno del racket. Dobbiamo aspettare un altro Libero Grassi per vedere i giovani scendere in piazza? Mi auguro di no».L’amarezza tra chi ha denunciato i propri estortori è tanta nel leggere l’inchiesta catanese e sapere che l’azienda dell’ex presidente degli industriali versa il pizzo da vent’anni e lo è di più quando leggono di imprenditori disposti a farsi denunciare per non puntare l’indice contro l’uno o l’altro mafioso. «Serve una norma – aggiunge Terranova – che penalizzi queste imprese che pagano il pizzo. Ci si deve lavorare, si siedano deputati e associazioni antiracket per trovare insieme una norma».
La Fai anni addietro aveva iniziato a discutere con Confindustria Sicilia per cancellare tutti i soci che pagavano il racket. Erano gli anni dell’ex leader degli industriali Antonello Montante ma dall’inchiesta “Double face” è emerso che era un motto, una frase pronunciata durante i convegni e mai attualizzata. Nel Nisseno in primis. «Purtroppo chi denuncia può essere danneggiato dai mafiosi, ma anche dai burocratici – prosegue il rappresentante della Fai in Sicilia – ci sono episodi che abbiamo evidenziato in Commissione antimafia e i parlamentari ci hanno allargato le braccia. Non possiamo vivere con il cappio del ricatto e se il Governo vuole pensare ad un’Italia diversa bisogna iniziare a mettere mani alla legge. Non può essere che un imprenditore vittima di mafia o di corruzione non venga più chiamato a partecipare ai bandi, mentre chi è compiacente ha strada facile. In questo modo si penalizza chi ancora oggi crede in un cambiamento radicale della nostra isola».
Per Terranova, quindi, i tempi della ribellione di massa in Sicilia sono lontani. Il nuovo sistema con fattura poi è uno stratagemma che cela non solo il pizzo ma anche la corruzione nella pubblica amministrazione. Una speranza nel futuro? «Sicuramente noi ce la stiamo mettendo tutta – conclude il presidente della Fai Sicilia Terranova – crediamo nella nostra e in chi davvero vuole denunciare. Serve che la società si faccia sentire, che i giovani inizino a ribellarsi. Non possiamo accettare che Catania non sia scesa in piazza. È una città metropolitana e sarebbe bastato poco per dare sostegno a chi lavora con l’obiettivo di sconfiggere la piovra. A me piace pensarla così e sono convinto che una fiammella di speranza non può essere spenta con un semplice soffio d’autunno».