Cronaca
Brusca libero per la legge voluta da Falcone che ora in tanti vogliono cambiare
PALERMO – Che fosse solo questione di tempo lo sapevano tutti: familiari delle vittime, magistrati, politici. Ma la notizia della liberazione di Giovanni Brusca, «u verru», il porco, così lo chiamavano in Cosa nostra, ha avuto un effetto deflagrante. Oltre 100 omicidi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il bambino strangolato e sciolto nell’acido dopo una lunghissima prigionia, l’ex capomafia di San Giuseppe Jato passato tra i ranghi dei collaboratori di giustizia ha finito per incarnare per l’opinione pubblica il volto del male. Fu lui ad azionare il telecomando a Capaci facendo saltare in aria Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Crudele, spietato, ha più volte detto di non ricordare neppure i nomi di tutte le sue vittime. Poi la scelta di parlare con i magistrati, il bluff dell’esordio seguito da decine di migliaia di pagine di verbali con nomi, fatti, legami tra mafiosi politici e affari. Una collaborazione con la giustizia ancora avvolta da molte ombre. Brusca, secondo alcuni, avrebbe coperto alcuni favoreggiatori e soprattutto avrebbe tutelato il suo tesoro solo in parte confiscato.
Il ritratto di un criminale che rende assolutamente comprensibile il profluvio di dichiarazioni indignate dopo la scarcerazione per fine pena: 25 anni di reclusione per chi ha fatto la guerra allo Stato. La liberazione di Brusca «è stato un pugno nello stomaco che lascia senza respiro e ti chiedi come sia possibile».
La sorella di Falcone ricorda a tutti che quella legge applicata oggi l’ha voluta anche suo fratello, che ha consentito tanti arresti e di scardinare le attività mafiose, ma è «un pugno nello stomaco», dice il segretario del Pd, Enrico Letta, citando le parole di Maria Falcone che a caldo, ieri sera, aveva usato parole di grande equilibrio. «Quello che temevamo da tempo si è avverato: Giovanni Brusca, il “macellaio” che ha premuto il telecomando a Capaci, è libero. Lo prevede la legge, una legge che ha voluto mio fratello e che rispettiamo, ma restano il dolore, la rabbia e il timore che un individuo capace di tanto male possa tornare a delinquere. – ha detto – Ci auguriamo che la magistratura e le forze dell’ordine vigilino: sarebbe un insulto a Giovanni, Francesca, Rocco, Antonio e Vito che possa tornare indisturbato a godere di soldi che grondano sangue».
Sulla stessa linea il fratello e la madre del piccolo Giuseppe Di Matteo: «Umanamente non si potrà mai perdonare. Per me il dolore della morte di mio fratello non si rimarginerà mai, per mia madre la sofferenza è ancora più grande. Ma abbiamo fiducia nella magistratura che ci è stata sempre vicina. Se non crediamo nella magistratura non crediamo più nello Stato. Brusca ha ucciso mio fratello ma espiato la pena nel rispetto della legge», dicono.
Molto dura la vedova del caposcorta di Falcone, Tina Montinaro che ha commentato di essere delusa dallo Stato. E se il leader della Lega Matteo Salvini si dice indignato che «uno che ha ammazzato centinaia di persone sia libero di passeggiare per Roma» e la presidente dei senatori di Fi Annamaria Bernini e Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, parlano di «schiaffo alle vittime», la magistratura difende la legge sui pentiti. «La legge sui collaboratori di giustizia si è rivelata uno strumento fondamentale nella destrutturazione delle mafie. Giovanni Falcone, che ne è stato l’ideatore, aveva ben presenti i costi sul piano della sofferenza per le vittime dei mafiosi che l’approvazione di una normativa del genere avrebbe comportato. Ma aveva anche chiaro quali danni alla mafia avrebbero e hanno fatto le collaborazioni di alcuni esponenti di vertice di Cosa nostra», commenta il procuratore di Messina Maurizio de Lucia.
Ma ora sono in tanti a scagliarsi contro quella legge che ha creato un vero e proprio corto circuito tra giustizia ed etica. Secondo Matteo Salvini «è inaccettabile, umanamente, moralmente e politicamente. Se la legge lo prevede e lo permette, vuol dire che va cambiata la legge sui pentiti. A pochi giorni dal ricordo della strage di Capaci, nel giorno della Festa della Repubblica, avere per strada un pluriomicida, boss mafioso tra i più pericolosi al mondo non può essere compreso nell’Italia della ricostruzione post-Covid».
Ma anche per Nicola Morra, presidente della commissione parlamentare Antimafia, intervistato dal quotidiano La Stampa, «si dovrebbe ripensare l’attuale legislazione in materia di mafia». Per Morra, «andrebbero rivisti gli articoli 4-bis e 41-bis, mantenendo alcuni presidi e rafforzandoli». Morra ha detto che Brusca non andava scarcerato «perchè lo Stato deve capire che alcuni soggetti possono ripetere l’errore più di altri e, prudenzialmente, deve sottoporli a controlli più rigidi. Brusca esce dal carcere a 64 anni, ad un età in cui può tornare a concorrere ad attività criminali mafiose».
E’ per cambiare la legge anche il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci. «Sapere che Brusca è, oggi, uomo libero lascia senza parole – ha detto il governatore -. La Legge è legge, si dirà. Ma se una norma è palesemente sbagliata va cambiata. Magari non potrà più servire per Brusca ma servirà almeno ad evitare un altro caso simile. Di fronte agli “sconti” concessi a chi ha ordinato oltre cento omicidi, sia comunque serratissima la vigilanza. Per scongiurare che la libertà barattata possa, Dio non voglia, fornirgli anche la più remota possibilità di tornare ad essere il mostro che è stato».
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