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Catania, caso Catania

Di Martino e la messa a posto: il peccato originale di Filippo

Il fratello dell'ex presidente di Confindustria non ammise subito di pagare l’estorsione.

Di Laura Distefano |

Non sarebbe stato nemmeno Filippo Di Martino il firmatario della “messa a posto” con il boss Nuccio Ieni, morto in carcere diversi mesi fa. Sarebbe stato un altro dei fratelli del colosso dell’autotrasporto. Che però è deceduto diverso tempo fa.

Il primo a tenere i rapporti fu il fratello Salvatore

A spiegarlo è stato l’ex presidente di Confindustria Catania Angelo Di Martino il giorno in cui ci fu l’arresto in flagranza dell’esattore del pizzo natalizio due anni fa. «Ribadisco di non conoscere i soggetti ai quali mio fratello Filippo ha corrisposto negli anni l’estorsione in quanto i rapporti con costoro li ha tenuti mio fratello Filippo e prima di lui mio fratello Salvatore che è deceduto da qualche anno».

La consegna della tangente

Quindi Filippo avrebbe assunto l’incombenza di incontrare due volte l’anno Giovanni Ruggeri e consegnargli la bustarella per poter lavorare tranquilli. Il 18 dicembre 2021 i poliziotti fermarono il sospettato alle 10,30 del mattino alla VI strada della zona industriale mentre guidava una Toyota Yaris. In una tasca interna trovarono una mazzetta con 80 banconote da 50 euro raccolte in un elastico. I 4.000 euro della tangente incassata.

La reticenza

Una volta arrestato Ruggeri i poliziotti convocarono Filippo Di Martino negli uffici della squadra mobile. Ma in un primo momento l’imprenditore cercò di sviare le domande. E addirittura descrisse la visita di Ruggeri come un incontro per «scambiarci gli auguri di Natale». Per un bel po’ continuò a tergiversare: «Con il figlio ho accordi commerciali secondo i quali lo stesso ritira i rottami e i cascami metalllici dalla Fratelli Di Martino spa pagandomi il corrispettivo secondo il peso del metallo ritirato». Gli investigatori, però, andarono dritti al punto. Ma Filippo negò: «Non ho corrisposto alcuna somma di denaro a Ruggeri». Una reticenza iniziale che però viene meno quando gli si palesa davanti un’ipotesi di favoreggiamento. «Sì, stamattina ho consegnato la somma di 4.000 euro a titolo di protezione da parte del clan mafioso a cui fa riferimento. Questa somma viene corrisposta da circa 20 anni e attualmente viene pagata due volte l’anno in corrispondenza delle festività di Pasqua e Natale».

Tutto nacque da un furto

Anche se non fu lui il primo ad avere i primi contatti per il versamento spiegò ai poliziotti da dove nacque la trappola. «Ebbe inizio quando abbiamo subito un furto di svariati mezzi. Dopo qualche giorno si sono presentati dei soggetti i quali hanno chiesto del denaro per sovvenzionare le famiglie dei detenuti del loro clan. Inizialmente, sempre in corrispondenza di Pasqua e Natale, venivano corrisposti 1.000 euro che poi sono lievitati a 4.000 euro che vengono corrisposti da circa cinque anni ad oggi». Fino a due anni fa, quindi.

Le vittime in giacca e cravatta

Ma i fratelli Di Martino – che come ieri ha anticipato La Sicilia hanno intenzione di costituirsi parte civile nel processo – non sono gli unici vittime in giacca e cravatta che avrebbero pagato pizzo alla famiglia del boss dei Pillera Puntina. Anche alcuni dei più rinomati negozianti di corso Italia si sono piegati per anni al ricatto. E purtroppo anche da loro c’è stata reticenza. Anche se non davanti alle forze dell’ordine. Testimone ne è l’avvocato Enzo Guarnera dell’associazione Antimafia e Legalità che qualche mese fa durante una passeggiata contro il pizzo entro negli store della via dello shopping chiedendo proprio se ci fossero state dei segnali del fenomeno anche in quella parte della città. «Abbiamo percorso tutti i negozi da piazza Europa a via Etnea e nessuno che abbia detto abbiamo il problema dell’estorsione. Tutti hanno detto fortunatamente non abbiamo il problema ma se l’avessimo ci rivolgeremmo alla vostra associazione. Poi sappiamo tutti come è finita», dice deluso.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA