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Il business delle discariche private in Sicilia, Marino: «Dietro ci sono scelte politiche»

Di Mario Barresi |

E se ci fosse un legame maleodorante fra il tramonto del gigantesco affare dei termovalorizzatori e l’alba del monopolio delle discariche private, con progressivo aumento di cubature e di fatturati? Per ora è soltanto «un’ipotesi di lavoro», rafforzata da atti e audizioni, dell’Antimafia regionale. Eppure, nelle sliding doors della storia recente del potere siciliano, potrebbe essere anche una pista investigativa. Magari sottovalutata e poi scartata qualche anno fa da alcuni magistrati e adesso sul tavolo di altri. Con gli stessi atti e taluni protagonisti in comune, ma con uno scenario mutato.

La commissione dell’Ars indaga sulla gestione del ciclo dei rifiuti in Sicilia, un business da 1,2 miliardi l’anno più volte nella bufera con inchieste e processi per infiltrazioni mafiose e corruzione. Nei prossimi mesi saranno sentiti, fra gli altri, tutti i governatori, gli assessori e i dirigenti che si sono succeduti dall’era di Totò Cuffaro a oggi. Già chiesta a tutti i 390 Comuni dell’Isola la “cartella clinica” del settore: appalti e ditte, proroghe e costi. In molti hanno già risposto.

Ma già adesso, dai primi elementi raccolti, comincia a emergere quello che il presidente Claudio Fava definisce «un filo rosso che lega le sorti della politica ai desiderata di alcune persone», con i contorni di «una cordata privata di grossolana malavita politica». Un primo importante salto di qualità arriva dall’audizione dell’ex assessore ai Rifiuti, il magistrato Nicolò Marino. Il quale martedì, in un lungo confronto, avrebbe fornito molti spunti all’Antimafia dell’Ars. Sul bando dei quattro impianti per bruciare i rifiuti indagò dal 2010 la Procura di Palermo, ma dopo sei anni l’ipotesi di corruzione (si parlò anche di una tangente di 38 milioni) venne archiviata nel merito. Ma i pm, pur ammettendola come «certamente configurabile», dovettero fermarsi – a causa della prescrizione – anche sulla turbativa d’asta.

Ma su quell’«accordo di cartello» (oggetto anche di un contenzioso fra Regione e gruppo Falck, chiuso con un accordo transattivo) restano tanti dubbi aperti. Alcuni Marino li evidenziò nel 2013 ai colleghi di Palermo, ma adesso il magistrato all’Antimafia dell’Ars li ribadisce come «evidenze investigative sottovalutate». Proprio dal 2009, dopo che va deserta la gara-bis, secondo la ricostruzione dell’ex assessore, si ha il boom di nuove discariche private, fra cui quelle di Siculiana, Motta S. Anastasia e Mazzarrà Sant’Andrea. Due fatti che Marino lega assieme in «un’ipotesi investigativa»: il mancato affare (con tangenti) dei termovalorizzatori è «contraccambiato» dall’«ampliamento a dismisura» degli impianti privati con «la concessione di autorizzazioni in palese violazione di legge»? Al presidente Fava il magistrato rivela anche la presenza, in una delle società consortili aggiudicatarie della prima gara sugli inceneritori, di un gruppo imprenditoriale titolare di discariche.

L’ex assessore all’Antimafia dell’Ars consegna anche tutte le sue perplessità sui «mancati approfondimenti» da parte Procura di Palermo su Giuseppe Catanzaro, con particolare riferimento ai suoi «allarmanti collegamenti con soggetti indagati per mafia». Marino è parte civile al processo contro Antonello Montante, perché oggetto del dossieraggio. E il magistrato non ha mai risparmiato accuse a Catanzaro, presidente di Sicindustria autosospesosi dopo l’indagine a suo carico nella seconda tranche dell’inchiesta di Caltanissetta. Marino è stato di recente assolto dal Tribunale di Palermo dall’accusa di diffamazione nei confronti di Catanzaro. che «ha anche fatto – disse nel 2013 nel corso di una riunione in assessorato – da prestanome di Provenzano».

All’Antimafia dell’Ars (forte anche della sentenza d’assoluzione, corroborata dagli atti del processo Montante, in cui si scrive che le sue affermazioni «erano fondate su risultanze processuali in sedi penali e amministrative») Marino ribadisce i dubbi sulle origini delle fortune dei Catanzaro. E qui torna il riferimento alla Procura di Palermo, che avrebbe «sottovalutato una serie di evidenze» che riguardavano «i rapporti» fra il gruppo imprenditoriale agrigentino con Massimo Tronci (arrestato per mafia) e con Francesco Zummo, assolto nel processo ma «ritenuto a quel tempo prestanome di Provenzano». Per Marino, «poco dopo l’arresto di Tronci», i Catanzaro «comprano la società, lo stesso giorno e davanti allo stesso notaio, da tre loro commercialisti che l’avevano appena comprata da Zummo»».

La Dia di Palermo, a onor del vero, ritiene che l’acquisto sia stato fatto in buona fede, ma «all’epoca non potevano sapere – sostiene Marino – che era un’ interposizione fittizia che avrebbe dovuto indurre ad approfondire le indagini sulla società». E nel calderone ci sono anche delle «rilevanti intercettazioni» del Noe (in mano ai pm di Palermo) sui rapporti fra Montante e Catanzaro su un piano per fare fuori Marino dalla giunta regionale. Gli atti, già depositati dal magistrato nell’indagine su Montante, potrebbero anche essere già nel filone-bis in corso.

L’ex assessore deposita pure in Antimafia le dichiarazioni del pentito Maurizio Di Gati, l’ex capomafia agrigentina, acquisite anche nel processo per diffamazione, sulla «messa a posto» di Catanzaro (oggetto di un attentato dimostrativo poco dopo il pentimento di Di Gati), che pagava «in nero» le «estorsioni».

Marino rivendica di «non aver autorizzato un solo metro cubo ai privati» quand’era assessore e di aver disposto «la chiusura di Oikos e Mazzarrà». «Il mio obiettivo era una gestione con impianti pubblici regionali». E all’Antimafia racconta un altro episodio: a fine 2013, «nonostante i tanti ostacoli frapposti dall’assessore Mariella Lo Bello e dal suo dirigente di allora», erano pronte le gare per le piattaforme pubbliche proprio a pochi giorni dalla scadenza dell’emergenza rifiuti. «Ma il direttore della Lo Bello – rivela all’Antimafia – ci mandò una nota in cui non si poteva concedere la Via, e sostanzialmente non si poteva fare la gara di Gela, perché mancava la Vas del Piano rifiuti, quando il giorno prima aveva rilasciato autorizzazioni a privati senza rilevare lo stesso problema». Il 19 dicembre «ebbi uno scontro durissimo con Crocetta, la Lo Bello e il direttore Gullo, che sosteva di aver firmato la lettera senza sapere cosa ci fosse scritto e che l’aveva preparata Cannova (Gianfranco, funzionario regionale coinvolto in più processi per corruzione, ndr)». Per Marino, , «Crocetta e l’assessore Lo Bello «agivano esclusivamente per bloccare l’attività che avrebbe sfavorito la discarica di Siculiana».

Marino, infine, parla di Bellolampo, e del «pubblico che ha distrutto quell’impianto, perché non solo sono riusciti a non farlo funzionare, ma addirittura ad abbancare i rifiuti dove c’è l’impianto stesso». E dell’«anomalia» del rapporto fra il Comune di Palermo e la Rap, «modulato con un contratto una tantum di 100 milioni e non con l’effettivo conferimento in discarica», sul quale «la Regione non ha alcuna responsabilità».

Twitter: @MarioBarresi

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