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l'operazione carback a catania

La città in mano a tre “batterie” di topi d’auto

I retroscena del blitz dei carabinieri che ha portato all'arresto di 68 persone

Di Laura Distefano |

Era così bravo a rubare le Cinquecento, che il noto brand della Fiat, era diventato il suo nomignolo. Marco Puglia è uno dei 68 indagati finiti in manette (51 in carcere e 17 ai domiciliari) nell’operazione “Carback” che ha smantellato una banda specializzata in furto di vetture, con la capacità di rubare anche in 20 secondi cronometrati. L’indagine, condotta dai carabinieri della compagnia di Fontanarossa e coordinate dai pm Antonella Barrera e Andrea Norzi e dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo, ha portato anche a scoperchiare un fruttuoso traffico di cocaina, che vedeva al comando Salvatore Giuffrida “u gommista” uomo di rango del clan Cappello. A lui e anche a Santo Tricomi, dei “Cursoti Milanesi” è contestato il reato di associazione mafiosa.

Le indagini dal 2020

I militari nel 2020 cominciano a monitorare un luogo preciso: un autonoleggio situato al civico 194 del Stradale San Giorgio. Potremmo quasi definirlo una sorta di quartier generale della gang che sarebbe riuscita a creare una piccola società per azioni del “cavallo di ritorno”. A svelare le modalità illecite sono Salvatore Alberto Tropea e Antonino Santonocito. Dalla loro voce si arriva a comprendere la “regola dei tre giorni”. «Tutti i gruppi operanti – come è scritto nelle pagine dell’ordinanza firmata dalla gip Maria Cristaldi – prima di disporre del mezzo rubato («tagliarlo»), attendevano almeno tre giorni, per assicurarsi la possibilità di rimediare ad eventuali torti, arrecati a personaggi di particolare caratura criminale».E infatti dopo un furto ci sarebbe stato un po’ di maretta addirittura con uno dei Santapaola. Personaggio che non è stato identificato dai carabinieri ma che ha fatto ben comprendere «l’importanza della regola» che avrebbe permesso di poter mettere una pezza al problema. Il gruppo criminale avrebbe avuto la colpa infatti di rubare l’auto a una donna che aveva una conoscenza, non meglio definita, con esponente di una «certa levatura criminale del panorama mafioso catanese». Il 19 novembre 2020, sempre all’interno dell’autonoleggio, Massimo Ferrante – che avrebbe avuto il ruolo di mediatore tra la vittima del furto e le cosiddette “batterie” per la restituzione dietro pagamento – parlando con Gabriele Pappalardo e Salvatore Giuffrida «riferiva – scrive la gip – che la mancata restituzione di una macchina avrebbe potuto scatenare “gravi ritorsioni”, da parte di soggetti di alcuni paesi etnei a suo dire collegati alla famiglia mafiosa catanese dei Santapaola». A un certo punto ci sarebbe stata anche un po’ di tensione con alcuni dei più esperti nei furti, e cioè Fabio e Cristian Riccio. Uno dei fratelli non avrebbe voluto restituire una Fiat 500 X al padre di una persona – vicina alla banda – perché sarebbe stato interessato a vendere i gruppi ottici. Fortemente ricercati dai ricettatori di pezzi d’auto.

Catania divisa in “zone”

La città sarebbe stata divisa per zone con delle “batterie” ben delineate. E, infatti, guai a sconfinare. In alcune «conversazioni telefoniche, i possibili autori del furto venivano individuati e chiamati in causa in relazione al luogo». Il 31 ottobre 2020 Antonino Santonocito, intercettato, si mostra «interessato alla ricerca del cofano di colore bianco di una Lancia» ma «in realtà – scrive la giudice – si dimostrava interessato al rinvenimento di un’autovettura marca Lancia». Così parlando con Tropea «riferisce di aver già chiesto informazioni a “quelli di là sopra” (batteria di Monte Po, ndr), in quanto la zona del viale (parte alta del viale Mario Rapisardi n.d.r.), dove era avvenuto il furto, veniva giudicata – specifica la Cristaldi – di competenza loro». Ma come funziona? «A ciascuna zona corrisponde – argomenta la gip – un gruppo di azione (batteria), i cui appartenenti sono legati da vincoli di amicizia, di quartiere o, talvolta, anche di parentela». I carabinieri sono stati in grado addirittura di fare un preciso organigramma. Nella batteria di Monte Po avrebbero fatto parte Emmanuele Falsaperla, Daniele Francesco Ventimiglia, Orazio Simone Pitterà, Santo Vittorio, Giuseppe Mirabile, Kevin Manganaro e Antonino Savaca che si sarebbero occupati dei furti (tutti su strada) a Nesima, San Nullo e paesi etnei. La competenza della batteria di San Giorgio invece era in centro (i componenti sarebbero Nunzio Privitera, i fratelli Riccio, Gabriele Pappalardo e Alessandro Tricomi). Della batteria di San Cristoforo, infine, facevano parte Tropea, Jonathal Musumeci, e Puglia “cinquecento” e avrebbero avuto la delega di «fare la spesa» nei centri commerciali.I carabinieri hanno ricostruito 54 furti e 33 estorsioni con il metodo dei “cavalli di ritorno”. La tangente per la restituzione variava in base al modello dai 300 ai 1500 (come è stato per il caso di una Jeep Compass). Purtroppo 13 persone hanno preferito “pagare” anziché denunciare. E una volta convocati in caserma invece che “collaborare” hanno dato informazioni “fuorvianti” e anche “false”. L’autorità giudiziaria li ha denunciati per favoreggiamento.

I metodi utilizzati per rubare le auto

Gli investigatori hanno passato al setaccio le immagini di video sorveglianza e sono riusciti a determinare i due metodi di furto lampo utilizzato dall’organizzazione criminale sgominata. E sono due: il metodo del cosiddetto .“bottone” e l’utilizzo di centraline non codificate. «Nel primo caso – spiega in modo dettagliato la giudice – dopo l’apertura della portiera e lo sblocco del quadro d’accensione con l’utilizzo di chiavi adulterine, l’avvio del motore avveniva mediante l’inserimento di un piccolo apparato elettronico (bottone) nella presa obd presente all’interno dell’abitacolo di tutti i veicoli. Nel secondo caso – scrive ancora Cristaldi – sempre dopo l’utilizzo delle chiavi adulterine per l’apertura del sostituzione della centralina originale posta all’interno del vano motore con una centralina preparata allo scopo. La prima metodica quindi si caratterizzava per la maggiore discrezione e per la minore visibilità all’esterno, sebbene richiedesse – argomenta – un maggiore investimento economico». I fornitori del «bottone» sarebbero stati alcuni campani. Tropea è intercettato durante una trattativa da 1.100 euro. Che a fare bene i conti sarebbe stata ammortizzata con l’incasso di qualche cavallo di ritorno.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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