Cronaca
La Sicilia e le sue tante fragilità, ecco la mappa delle aree a rischio
CATANIA – La mappa del pericolo esiste già. Da tempo. Ed è costantemente aggiornata dallo specifico Servizio dell’assessorato Territorio e Ambiente della Regione. Si chiama Pai, Piano di assetto idrogeologico, la cui “carta madre” è la relazione generale firmata dall’allora presidente della Regione, Totò Cuffaro, nel 2004. Il Pai “fotografa” due tipi di pericolo per i bacini idrografici siciliani: la possibilità di esondazioni e il “rischio” dovuto alla presenza di manufatti e opere dell’uomo, con una scala di valori in cui i livelli R3 e R4 prevedono, rispettivamente, possibili rischi per l’incolumità e la perdita di vite umane.
In questa gigantesca fotografia di dettaglio dei bacini idrografici di tutta l’Isola, ci sono anche i territori in cui si sono consumati gli ultimi disastri: da Casteldaccia alla Piana di Catania. In tutti i casi, le criticità erano ben note. Nella relazione sul bacino idrografico del Milicia, ad esempio, nel territorio di Casteldaccia erano state rilevate «18 aree a rischio elevato (R3)«, rilevando vari «elementi vulnerabili: un tratto di linea ferrata, un tratto dell’A19 Pa-Ct, un paio di tralicci di un elettrodotto, un acquedotto, strade comunali e case sparse». La relazione indicava anche possibilità di esondazioni classificata come E3, la necessità di manutenzione del corso d’acqua e il monitoraggio della foce, perché ammassamenti sabbiosi, avrebbero potuto fare da sbarramento favorendo esondazioni in caso di piena.
«Difficile dire di essere stati colti di sorpresa – afferma l’ingegnere Salvatore Alecci, presidente della Associazione idrotecnica italiana sezione Sicilia orientale – perché le situazioni di pericolo e di rischio sono tutte ben note». Praticamente ovunque in Sicilia. «Tutto il basso corso del Simeto, il basso corso del Gornalunga, il fiume Lentini (comunemente chiamato San Leonardo), insomma tutta la parte bassa della Piana di Catania alluvionata a metà ottobre era già perimetrata da tantissimo tempo. Situazioni classificate con rischio R4, il massimo, sono evidenti alla foce del San Leonardo, dove esiste un agglomerato di case proprio sulla sponda destra del fiume». Sono sempre lì, da anni.
Poi c’è tutto il Messinese, caratterizzato da bacini molti piccoli in cui al rischio di alluvione si aggiunge il rischio frana; la zona di Sciacca, nella parte parta di valle dell’Himera meridionale e del Salso; nel Palermitano il bacino del Milicia e dell’Eleuterio presenta molte zone a rischio. Un rischio che non esenta neanche le grandi città. A Palermo, aggiunge Alecci, «è a forte rischio il fiume Oreto che attraversa la città e in passato è stato responsabile di grandi esondazioni come quella catastrofica del 1929, che causò decine di morti. Vi sono tanti manufatti abusivi all’interno dell’alveo del fiume, situazioni di grandissimo pericolo». Anche a Catania non c’è da stare tranquilli. «A rischio elevato – aggiunge Alecci – è quasi metà del quartiere di Monte Po, tutta la via Etnea compresa una fascia di 5 mt per lato, classificata a rischio R4 così come la via Galermo e la via S. Nullo, un tratto di via Palermo, parte di S. G. l’Arena e ovviamente il villaggio Goretti. Per il quale avevo proposto il progetto di una vasca di espansione, su cui non sono mai arrivati i finanziamenti».
Insomma, c’è la fotografia, ma poi succedono le tragedie. «Le norme di attuazione del Pai – dice ancora Alecci – sono vigenti, e cogenti, su tutti gli strumenti urbanistici ordinari e mettono tutta una serie di divieti in base alla classe di rischio. In ogni caso, nelle zone R3 e R4 è vietata la nuova costruzione ed è consentita solo la manutenzione ordinaria sulle costruzioni esistenti. Anzi, tali costruzioni dovrebbero essere delocalizzate su iniziativa delle amministrazioni locali, ma si tratta di una norma inattuata».
L’associazione, presente da 50 anni e fatta da tecnici, in questi giorni ha spedito due lettere. Una al presidente della Regione con alcune proposte da inserire nel decreto attuativo dell’Autorità di bacino, nata a maggio, suggerendo disposizioni sugli uffici e sulla loro dislocazione sul territorio tenendo conto dei bacini idrografici, su finanziamenti e norme per rendere i Pai e i Piani regolatori più efficaci. Su questi ultimi aspetti, una missiva è stata indirizzata al premier Conte. Chiedendo anche l’istituzione dell’«idro bonus», una detrazione fiscale come il «sisma bonus», per interventi di messa in sicurezza per il rischio alluvione. Come la delocalizzazione.
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