Catania
L’Ordine dei medici e le scatole cinesi dei corsi tra Palermo e Catania ai raggi X dei pm
Gli indagati etnei e il modello ideale: «Loro hanno un giro enorme». Gli intrecci nella formazione privata e gli “omissis” del gip. I pm: «No comment»
Il più grande errore che si possa commettere è reputarla una faccenda catanese. Perché l’inchiesta giudiziaria sul “postificio” nei progetti della sanità etnea ha anche molto di palermitano. E non soltanto perché i soldi arrivavano dalla Regione, né perché sono coinvolti Ruggero Razza e Antonio Scavone, entrambi catanesi ma in veste di ex assessori di stanza a Palermo.
Il filo conduttore
Il principale filo conduttore dell’indagine, infatti, riguarda il “gemellaggio” fra gli Ordini dei medici. Una circostanza resa esplicita innanzitutto dai personaggi coinvolti: fra i 17 indagati, infatti, c’è anche Filippo Di Piazza, braccio destro del presidente dell’Omceo di Palermo, Toti Amato. Che, nell’annotazione finale delle indagini firmata dal Nucleo investigativo dei carabinieri di Catania, risultava fra i 28 «soggetti segnalati» come potenziali indagati con l’ipotesi di turbativa d’asta. Ma, già in sede di richiesta di misura cautelare (firmata a maggio dello scorso anno dal pm) la posizione del leader dei camici bianchi palermitani è stata stralciata. Pur essendo ritenuto, nelle pagine dell’informativa dell’Arma, un punto di riferimento per gestire «in perfetta sintonia» i progetti con Catania. Fra gli indagati finali finisce però Giuseppe Di Rosa, avvocato, uno dei più fidati consulenti dell’Ordine palermitano, in veste di membro dell’organismo di vigilanza etneo. Molto apprezzato: «Alla fine è stato bravo Giuseppe (Di Rosa, ndr) anche Giuseppe è stato un buon come si chiama… un nostro proiettile, è stato una figura fondamentale», lo elogiano due sodali intercettati.
Il sospetto dei pm
La tesi di fondo della Procura è che sotto il Vulcano si volesse replicare il modello già collaudato a Palermo. E gli indagati etnei non facevano certo mistero di ammirare i colleghi occidentali. Ezio Campagna, il dentista-facilitatore finito ai domiciliari, parla da vicepresidente dell’Ordine etneo quando confessa a una collega che «loro hanno un giro enorme. Loro hanno un giro, perché loro si distribuiscono tutti i coordinamenti e tutte le cose». Il sistema “ideale” viene descritto così: «Loro hanno una struttura che va dall’avvocato al coordinamento (…) Antonella c’ha due coordinamenti al mese; due-tre coordinamenti al mese, ogni coordinamento sono 5.000 euro, sono 15.000… 25.000 euro al mese che lei si becca soltanto, voglio dire, di fatto senza fare niente dal punto di vista operativo ma coordinando il lavoro degli altri…». E per «loro» s’intende l’Ordine di Palermo. Che annota il gip, «era molto potente, perché gestiva e coordinava molti progetti» del Psn in Sicilia.
Modello Catania?
Al netto dell’inchiesta c’è un altro modello che Catania ha provato a mutuare. Quello della Fondazione, che diventa braccio armato degli Ordini siciliani. Una situazione «strana» la definì Walter Mazzucco, presidente palermitano dell’Associazione italiana medici e oppositore dell’establishment medico palermitano. Un file aperto anche a Catania, con in ballo anche ville poi messe in vendita. Era l’epopea del renzismo imperante, con le polemiche sui vertici ordinistici organizzatori di eventi per accogliere premier e ministri. Oltre ad Amato e Di Piazza (in ultimo, si legge nelle intercettazioni, «molto legati a Gianfranco Miccichè» che inserì il nome del presidente dell’Ordine nella lista dei potenziali assessori alla Salute), in prima fila c’era Eugenio Ceglia, imprenditore della formazione, all’epoca legatissimo a Davide Faraone, poi diventato potente vice capo di gabinetto di Nello Musumeci.
Le scatole cinesi
Eppure ancor più strano può apparire l’intreccio di scatole cinesi che coinvolge i big dell’Ordine palermitano. Con al centro sempre Di Piazza, storico braccio destro di Amato e suo ex autista, in molteplici ruoli. In una fase addirittura uno e trino. Oltre all’Ordine, di cui è direttore amministrativo, e alla Fondazione, di cui era dirigente, il più delicato resta quello di direttore generale del Cfss, Centro formazione sanitario Sicilia. Una struttura privata – il cui vertice amministrativo è un dipendente a tempo indeterminato di un ente pubblico non economico (l’Ordine) e il presidente è lo stesso Amato – che organizza, da consorzio di servizi esterni con partita Iva, corsi di formazione a pagamento. Gli stessi che l’Omceo potrebbe offrire gratis ai propri iscritti, che pagano una quota annuale. E che invece alimentano un ricco, ancorché legittimo, business nel mercato privato della formazione sanitaria. Con il rischio che la sovrapposizione dei ruoli possa ingenerare un equivoco fra i potenziali beneficiari. I quali magari, visto che l’offerta si estende ben oltre Palermo, potrebbero pensare ad attività istituzionali dell’Ordine, di cui lo stesso Di Piazza era anche direttore della formazione, firmatario nel 2018 di un protocollo «contro la fuga dei cervelli» con l’Aiop. «Di questi corsi privati noi possiamo fare quello che vogliamo», confidava a Campagna. Sono quelli del Cfss?
Il groviglio
Questo groviglio a Catania non esiste. E comunque non c’entra nulla con l’ultima indagine sui progetti del Psn. Eppure, si chiedono in molti a Palermo, chissà se il «giro enorme» di cui parlano gli indagati etnei non contenga altri elementi di approfondimento investigativo. Nelle oltre mille pagine di ordinanza ci sono decine e decine di “omissis”, alcuni dei quali nelle parti in cui si parla proprio dell’Ordine di Palermo. Lasciando aperta, dunque, l’ipotesi di trasmissione di atti, per competenza, alla Procura di piazza Vittorio Emanuele Orlando. Da cui, sullo scenario, per adesso arriva soltanto un secco «no comment».Twitter: @MarioBarresiCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA