Cronaca
Mafia, fermato il “postino” dei boss detenuti: è un Radicale, inneggiava a Messina Denaro
PALERMO – La Procura di Palermo ha fermato 5 persone accusate a vario titolo di associazione mafiosa e favoreggiamento. In carcere, tra gli altri, sono finiti il capomafia di Sciacca Accursio Dimino e Antonello Nicosia, membro del Comitato nazionale dei Radicali italiani per anni impegnato in battaglie per i diritti dei detenuti. Insieme a una parlamentare di Leu di cui si sarebbe detto collaboratore ha incontrato diversi boss detenuti. Secondo la Procura avrebbe fatto da tramite tra capimafia, alcuni dei quali al 41 bis, e i clan, portando all’esterno messaggi e ordini.
La parlamentare al cui seguito Nicosia è entrato in istituti di pena di alta sicurezza come Tolmezzo è Giuseppina Occhionero, 41 anni, molisana. La Occhionero, avvocato, è stata eletta alle ultime elezioni politiche nelle liste di Leu ed è recentemente passata a Italia Viva, il partito di Renzi. La deputata non è al momento indagata, ma sarà sentita dai pm di Palermo come testimone.
Sostenendo di essere collaboratore della donna – i magistrati hanno delegato accertamenti alla Camera per verificare se sia vero – Nicosia poteva avere incontri con padrini mafiosi. Nelle conversazioni intercettate, l’esponente Radicale sottolineava il vantaggio di entrare negli istituti di pena insieme alla deputata in quanto questo genere di visite non erano soggette a permessi.
Nicosia, secondo i magistrati, non si sarebbe limitato a fare da tramite tra i detenuti e le cosche, ma avrebbe gestito business in società col boss di Sciacca Dimino, con cui si incontrava abitualmente, fatto affari coi clan americani e riciclato denaro sporco. Da alcune intercettazioni emergerebbero anche progetti di omicidi. L’inchiesta, condotta da Ros e Gico, è coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Gery Ferrara e Francesca Dessì.
L’indagine ha permesso di scoprire durante le intercettazioni che Antonello Nicosia ha espresso anche insulti pesantissimi a Giovanni Falcone, la cui morte viene definita «incidente sul lavoro» e che «da quando era andato al ministero della Giustizia più che il magistrato faceva il politico». Intercettato per mesi dal Ros e dal Gico della Finanza, parlando al telefono, dava giudizi sprezzanti sul giudice ucciso dalla mafia a Capaci nel 1992. Parole pesanti finite nel decreto di fermo firmato dai pm della Dda di Palermo.
Definiva il boss Matteo Messina Denaro «il nostro Primo ministro». Non sapendo di essere intercettato, Antonello Nicosia, l’esponente Radicale fermato per associazione mafiosa, parlava della Primula rossa di Cosa nostra come del suo premier. Al telefono discuteva animatamente del padrino di Castelvetrano. E invitava il suo interlocutore a parlare con cautela di Messina Denaro. «Non devi parlare a matula (a vanvera, ndr)», diceva.