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Turismo in Sicilia, ecco cosa frena ciò che potrebbe essere e non è

Di Michele Guccione |

PALERMO – Turismo, cioè sognare la Sicilia che potrebbe essere e che non è. Chi opera nel settore sa bene che nel mondo dei vecchi e nuovi viaggiatori delle economie che contano, dagli Usa all’Australia, dalla Cina alla Corea, dal Canada alla Russia, dal Sudafrica alla Malesia, l’Isola spesso non è neppure tracciata sulle carte geografiche, se non un puntino semi-invisibile. Nel mondo globalizzato l’Italia turistica si ferma a Napoli e Capri. I responsabili istituzionali si affannano a snocciolare numeri “positivi” su arrivi e presenze, ma che continuano a restare di gran lunga inferiori a quelli di due piccolissime (per dimensioni rispetto a noi) mete mediterranee, Malta e Ibiza.

Eppure la Sicilia, per le bellezze naturalistiche e la ricchezza di beni culturali, meriterebbe di essere la prima meta italiana e fra le prime d’Europa. Se solo venissero sfruttate le sue potenzialità secondo gli stessi criteri adottati, per esempio, in quella che noi con presunzione consideriamo la “povera” Polonia: una nazione che invece, in pochi anni, grazie ad una sapiente gestione dell’accoglienza, ad un’organizzazione “tedesca” delle città e dei servizi e agli incentivi per la delocalizzazione industriale, ha azzerato la disoccupazione e continua a reclutare altra manodopera da tutto il mondo.

Ma quali sono le reali potenzialità turistiche della Sicilia? A misurarle ci ha pensato UniCredit, in un’analisi redatta con Nomisma Pro. Il primo dato conferma quanto appena scritto: la Sicilia è la decima regione italiana per numero di arrivi (4,4 milioni nel 2016) e la dodicesima per presenze (13,7 milioni) e i turisti stranieri sono solo il 44%, cinque punti meno della media nazionale che è il 49%. La Sicilia, caso unico nazionale, offre ai visitatori ben 32 circoscrizioni, cioè aree omogenee per caratteristiche di domanda e offerta turistica, ma (ed è il secondo dato critico) la concentrazione di esercizi ricettivi imprenditoriali è di appena 0,16 per kmq, a fronte di una media nazionale di 0,25. Solo Ragusa è al di sopra, con 0,35.

Si presuppone che gli aiuti pubblici vadano a sostenere dove c’è più affluenza da sviluppare, ma UniCredit si accorge invece che accade l’opposto: le aree che ricevono meno finanziamenti pubblici sono quelle di Agrigento, Piazza Armerina, Erice, Messina, le Eolie, Sciacca e Gela, mentre quelle più fortunate sono Enna e Caltagirone, cui si aggiungono altre meno tradizionali e affollate, dal Trapanese con le Egadi e Pantelleria fino a Ragusa. Tutto il resto, da Taormina a Catania fino a Palermo e Monreale è “nella media”.

Però, guardando alle potenzialità che UniCredit misura con uno “score” o punteggio, le località che ne hanno di più e sulle quali, quindi, una oculata politica turistica pubblica dovrebbe puntare di più, sono Taormina al primo posto con 78,1 di score, seguita da Giardini Naxos (72,7), le Eolie (59,6), Catania-Aci Castello (59,1), Palermo e Monreale (58,2), Siracusa (53,2), il Trapanese (53,1), Ragusa (52,3), Cefalù (51,2), il Messinese (48,8), il Palermitano (48,7), il Siracusano (47,3), il Catanese (47,2) e il Ragusano (46,5). La potenzialità è una cosa da venire, la dura realtà cui ci porta l’analisi di UniCredit è che Taormina si colloca solo al decimo posto fra le mete turistiche più visitate, Giardini Naxos al diciottesimo, le Eolie al 68°, Catania-Aci Castello al 74°, Palermo e Monreale al 79°. Per guardarne altre, Siracusa si incontra al 129° posto, Ragusa al 139°, i Comuni del Messinese al 178°, quelli del Siracusano al 205°, quelli del Ragusano al 219°.

In conclusione, la Sicilia non ha un numero di strutture ricettive adeguato al fabbisogno di una terra che potrebbe occupare i primi posti della classifica delle mete turistiche internazionali, e la distribuzione dei finanziamenti pubblici a sostegno del settore non tiene conto delle potenzialità effettive dei territori che le ricevono. Due squilibri gravi che vanno corretti.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA