L'ALLARME
Gli “strozzini” del Superbonus: in Sicilia un affare da 1,2 miliardi sulla pelle delle imprese
In campo grossi gruppi e studi. Le offerte sui social e l’ombra della mafia
Senza giri di parole: è una specie di strozzinaggio. Ma all’incontrario. Perché il principio, in fondo, è lo stesso. Stavolta, infatti, l’offerta per chi è con l’acqua alla gola non è di soldi in prestito da restituire con tassi da usura. Ma di cedere i propri crediti fiscali, incagliati nella palude del superbonus, a prezzi stracciati. Fino a perderci anche la metà, pur di trasformare soldi virtuali in liquidità per pagare dipendenti e fornitori. Le vittime predestinate sono gli imprenditori edili, protagonisti della “bolla” del 110%, adesso colpiti dal pesante contraccolpo dello stop alla cessione da parte delle banche, che soltanto negli ultimi giorni hanno riaperto i rubinetti convenzionali.
Per intenderci, il meccanismo – teoricamente – dovrebbe funzionare così: per i lavori di riqualificazione e di efficientamento, finanziati interamente con risorse pubbliche, le imprese ricevono un corrispettivo del 110% sull’importo fatturato. I proventi non sono soldi reali, bensì un credito nel cassetto fiscale delle aziende, che potranno scontarlo con lo Stato.
Per avere un ordine di misura: l’ammontare dei crediti incagliati, a livello nazionale, sfiora i 20 miliardi. Secondo gli utimi dati di Ance Sicilia, il dato regionale si attesta su 1,2 miliardi “congelati” e coinvolge duemila imprese, con un risvolto diretto di 11mila posti di lavoro.
L’imprenditore
La teoria ha funzionato finché le banche hanno acquisito i crediti dalle imprese. Da qui si spiega il senso della percentuale superiore all’importo dei lavori: quel 10% in più serve in parte per ripagare gli istituti di credito. «Il sistema ha retto – spiega un imprenditore a La Sicilia, chiedendo l’anonimato – finché le banche hanno chiuso i rubinetti per colpa di una scelta scellerata del governo e del ministro Giorgetti».
Soprattutto nella fase iniziale della misura, le banche compravano i crediti, «pagando fra 102 e 103 euro ogni 110 di credito da ripartire in quattro anni. Poi è subentrata qualche difficoltà e questa quota è scesa ancora a 97-95 in base alla linea dei singoli istituti. Ma dal 16 febbraio scorso è arrivato lo stop alla cessione dei nuovi crediti. In Sicilia, da un giorno all’altro, migliaia di imprese (soprattutto edili, ma anche artigiane) si sono trovate con il beffardo paradosso di centinaia di milioni nel cassetto fiscale per i lavori realizzati e fatturati, ma con una pesante crisi di liquidità.
Lo strozzino
Ed è a questo punto che entrano in campo gli “strozzini” del Superbonus, pronti a fare affari d’oro sulla pelle delle imprese. «Le banche avevano già abbassato l’offerta all’85-90 per cento sul valore del credito fiscale, ma la cosa vergognosa – racconta un imprenditore catanese a La Sicilia – è quello che è successo dopo». E cioè l’entrata in campo di speculatori che fanno “shopping” con tariffe da saldi di fine stagione. Pur di avere soldi per pagare spese di gestione, ma soprattutto dipendenti e fornitori, alcune hanno svenduto i crediti. «A me – rivela il nostro interlocutore – hanno offerto il 65 per cento e ho deciso di resistere. Ma so di colleghi che, pur di non fallire, si sono accontentati di poco più della metà del valore del loro credito». Anche perché, «per chi non gode della fiducia delle banche, quelli è come se fossero soldi del Monopoli».
Ma qual è il profilo dei compratori all’“outlet” dei crediti? Chi ha soldi cash da investire subito. Grossi gruppi imprenditoriali e finanziari, magari con la sponda di professionisti ben informati. Non a caso, come ricorda la nostra fonte, «la maggior parte delle compravendite avvengono con la consulenza di prestigiosi studi di commercialisti e di notai». I professionisti, ovviamente, fanno il loro mestiere. Anche se qualche faccendiere s’è messo in proprio: spuntano persino annunci (qualcuno anche sui social) dei “cacciatori” dei crediti. La compravendita dei quali, riutilizzabili con l’erario, di per sé, non rappresenta una pratica illegale. Al di là degli aspetti etici, però, i fari di qualche magistrato della zona orientale della Sicilia, su sollecitazione di “sentinelle” della guardia di finanza, si sono accesi sulle regole d’ingaggio, ma soprattutto sul profilo di alcuni compratori. Ci sono insospettabili prestanome di acquirenti occulti? Non sarebbe la prima volta che si usa un sistema regolare per ripulire denaro sporco. Avere la liquidità per comprare subito a 60 quello che vale 100 può anche essere un sistema raffinato per riciclare (o investire) fondi anche delle mafie.
Il sindacalista
«Molte aziende, nella fase del caos che si è creato sui bonus, sono collassate e pur di non fallire avranno fatto le inumane cose per poter galleggiare e non affogare», certifica Giovanni Pistorio, segretario regionale della Fillea Cgil. Il sindacalista, uno dei più esposti nella trincea della legalità, illustra una differenza: «Nel settore dei lavori pubblici, perlopiù, la corruzione agisce al livello dell’affidamento e la concussione nel corso dell’esecuzione dei lavori mentre il rapporto con la malavita organizzata agisce al livello di subappalto e forniture ed il tacito rapporto tra i diversi livelli si esplicita spesso nel momento in cui ognuno chiama in soccorso l’altro. Per i lavori privati, invece, la centrale unica malavitosa opera sin da subito. E le trame più sottili sono quelle ordite dai consulenti». Uno scenario molto simile a quello che ci ha già raccontato il costruttore. Pistorio va oltre, perché «è chiaro che, nel caso in cui gli imprenditori in difficoltà si siano affidati a strozzini o abbiano ceduto quote, si proverà a scaricare le difficoltà sul groppone dei lavoratori, cercheranno di farli lavorare in nero. Per cui diventa urgente avere più ispettori e più controlli». Questa è un’altra storia.
Anche i sindacati, comunque, accendono i riflettori su un fenomeno allarmante. Che ha già visto scendere in piazza, anche a Palermo fra le altre città italiane, gli “esodati del superbonus”. Imprenditori edili, certo. Ma anche artigiani e fornitori, professionisti (soprattutto ingegneri e geometri) e persino qualche proprietario di immobili. In alcuni casi, infatti, i lavori sono partiti e si sono interrotti in attesa dello sblocco dei crediti all’impresa, che non ha più i soldi per comprare i materiali necessari a concludere il cantiere. E capita anche che qualche “fortunato” beneficiario della superbonus sia stato costretto ad auto-sfrattarsi da casa propria.
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