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Nostra intervista a Ross Pelligra: «Dalla Perla Jonica a Termini Imerese al Catania, ecco cosa voglio fare in Sicilia»

L’imprenditore siculo-australiano: su Capomulini «la trattativa è allineata». 80-100 milioni d’investimento, cantiere in due anni con mille operai e 600 posti a regime

Di Mario Barresi |

Mister Ross Pelligra, usciamo subito dall’imbarazzo. Lo vuole sapere cosa dicono di lei?

«Sì, certo. Cosa dicono di me?»

Dicono che ha preso il Catania Calcio perché le serve per fare chissà quali affari…

«Really? Questa è bella (e parte una sonora risata, ndr)… E come lo dovrei fare questo business?».

Il magnate italo-australiano fa risorgere la squadra di calcio, tutti lo osannano. E lui, in cambio, ha la strada spianata per altre cose…

«Sì, è vero mi piacerebbe fare tante cose a Catania e non solo. Ma sa a quanto corrisponderebbe l’investimento che stiamo ipotizzando in Sicilia rispetto alla grandezza del mio gruppo?».

A quanto?

«A poco più dell’uno per cento del totale. E pensa che io mi metto a fare chissà che per l’uno per cento? La mia attività è diffusa in tutto il mondo: Australia, in Cina, in India, in Asia, in Israele…».

Ma il suo gruppo è così solido come dice? Non essendo italiano è difficile leggere i bilanci.

«Esattamente un anno fa li ha letti l’amministrazione comunale di Catania, che ha scelto il nostro progetto per rilanciare il calcio in città. La mia è una realtà solida, bancabile, che si può permettere di guardare al futuro anche più lontano, senza doversi preoccupare di quello che succede a breve scadenza. Io porto amici che fanno investimenti, fondi importanti da tutto il mondo, di alcuni sono pure socio. Ovunque io ho una regola precisa: rispetto le leggi e le persone. Rispetto i cittadini, le comunità locali, i governi. Non metto i piedi sopra la testa a nessuno. Offro opportunità, lavoro, sviluppo».

E perché dovrebbe farlo qui?

«Perché è la mia terra, perché è il mio sangue. Io ho anche il passaporto italiano. La mia famiglia emigrò in Australia negli anni 60, il primo fu mio nonno Rosario, io mi chiamo come lui. La mia famiglia ha origini di Floridia e Solarino, di Catania e di Messina. Quando io sono qui mi sento a casa mia. E poi le devo confessare una cosa. È stato mio padre, a un certo punto, a dirmi: “Vai, Ross, è il momento!”».

Ma lei è un uomo d’affari globalizzato. Potrebbe investire ovunque. E invece lo fa qui. Perché?

«Lo faccio perché questa città e questa regione hanno prospettive incredibili, che voi forse nemmeno immaginate. Vede, io ho una prospettiva che non è di due o di cinque anni e nemmeno di dieci. Io guardo allo sviluppo dei prossimi vent’anni. Guardo alla next generation, ai nostri figli. Vede qui (e nel frattempo su un bloc-notes disegna una specie di grafico a curve, ndr), nei prossimi anni ci saranno crisi e momenti buoni. Prima l’economia cambiava ogni dieci anni , ora cambia tutto in due-tre anni. Ma chi è solido, chi ha una certa struttura, non deve vedere quando la linea arriva in basso. Può permettersi di non vendere, di resistere. Perché poi tanto risale. Ecco, io queste cose le devo vedere fra vent’anni».

Ross Pelligra

Dallo sceicco al manager

Cosa sono «queste cose»?

«Ci sono tanti progetti. Quello più avanzato riguarda la Perla Jonica».

Il mitico hotel di Capomulini, che nessuno è mai riuscito a far rinascere. Lo sa che ci ha provato pure uno sceicco?

«Lo so, lo so. Il mio gruppo sta studiando molto bene la questione. Siamo allineati nella trattativa con i proprietari (dopo il crac di Item, il gruppo palermitano Rappa s’è aggiudicato il complesso alberghiero con 7 milioni di euro all’asta fallimentare, ndr) e adesso siamo nella fase più delicata verso il preliminare. Se tutto andrà bene, entro un mese o massimo due sarà tutto a posto».

Cosa vuole fare della Perla Jonica?

«Una cosa che manca a Catania e in tante parti della Sicilia: una struttura bellissima, aperta tutto l’anno, in cui poter venire per vacanza con la famiglia o per business, congressi ed eventi. Ancora il progetto lo stiamo definendo, la stima è un investimento fra 80 e 100 milioni».

E la manovalanza la porta dall’Australia?

«Macché, li prendo tutti qui. Circa mille persone per la ristrutturazione, che speriamo di finire in due anni. E poi, a regime, penso che alla nuova Perla Jonica potranno essere occupati anche 600 lavoratori, fra full time e stagionali. Sarà una cosa bellissima, ma poi ne parliamo meglio. Dico solo una cosa: in Sicilia non c’è una pianificazione per i turisti stranieri, bisogna migliorare».

Modello di business

Il suo gruppo è anche interessato a rilevare l’area di Termini Imerese. Il bando dei commissari straordinari di Blutec scade il prossimo 15 febbraio. Parteciperete?

«Ci stiamo pensando seriamente. Sto studiando le carte e poi deciderò assieme ai miei manager. Ma le voglio fare vedere una cosa. Guardi qui, avvicini (e questo punto Pelligra apre un file di presentazione sul suo iPad Pro: scorrono diverse foto di aree industriali). Sa che superficie coprono i capannoni industriali legati al mio gruppo solo in Australia? Più di 300mila metri quadri. È un business di famiglia: mio nonno, negli anni 50 e ‘60, comprava terreni e costruiva capannoni. Negli anni 80 e ‘90 li ha venduti a società di tutto il mondo: americani, indiani, cinesi… Guardi, in questa foto c’è anche il mare».

Sembra Termini. Cosa farà nell’ex Fiat?

«Una totale riqualificazione della Business unit, puntando su tech e food, aiutando le piccole imprese siciliane a crescere, anche con uno spazio che sarà il cuore di Pelligra Group Italia. Attrarremo investitori, anche stranieri, solo in una prima fase saranno impiegati duemila lavoratori».

Sull’area industriale c’è una concorrenza internazionale: un gruppo ucraino, uno svedese…

«Se non vinciamo noi non è una tragedia. Io sono pronto a collaborare con tutti. E poi lo stesso modello di business si può fare anche in altri posti: a Milano, a Brescia, a Bologna, a Roma…».

Un altro messaggio in codice: se non mi fate fare me ne vado da un’altra parte…

«Io vado dove ci sono le regole chiare, che io rispetto, e i governi che rispettano gli investitori. Non ho bisogno di altro».

Non ha paura della lentezza della burocrazia?

«No, perché io lavoro con la legge. Non chiedo favori, ma diritti e rispetto».

L’invidia

E dell’invidia ha paura? Confindustria le ha srotolato i tappeti rossi. Ma lei è il super ricco straniero, l’imprenditore di successo…

«No, l’invidia non mi preoccupa. Essere presente sul territorio mi ha permesso di conoscere bene la realtà imprenditoriale catanese. Io sono una persona aperta. L’altro giorno ho incontrato un piccolo imprenditore edile catanese. Gli ho consigliato come fare per raddoppiare i suoi affari: investi, rischia, fai le cose per bene. Io sono fatto così: vado in giro, parlo con tutti, senza problemi. Il Covid ci ha insegnato che l’unica cosa uguale per ricchi e poveri è la libertà. E poi che non c’è peggio della solitudine: mia nonna ripete sempre che ha perso due anni di vita, senza i suoi affetti, la famiglia… Restiamo uniti. Non c’è bisogno di essere gelosi, se ci confrontiamo ti do le possibilità di diventare meglio di me. Se cresci tu, cresco io. Se cresce Pelligra, crescete tutti…».

E la politica? Ha già capito che qui non funziona come in Australia?

«Io parlo con tutti e non chiedo niente a nessuno. Alcuni governanti di Roma, come i ministri Giorgetti e Urso, vogliono puntare sulla crescita, anche in Sicilia ho conosciuto tanti buoni politici. Dovrebbero chiedersi perché qui lo sviluppo s’è fermato, cosa ci vuole per ripartire».

Cosa ci vuole, secondo lei?

«Più orgoglio. Io stimo tanti siciliani che lavorano in Australia. E tutte le altre persone che vado conoscendo in tutto il mondo mi dicono: “Vorrei rinascere siciliano”. Noi siamo un popolo bellissimo. Siamo legati alle radici, agli insegnamenti dei nostri nonni. C’è un rispetto particolare: siamo umili ma ci vestiamo eleganti anche per andare al bar. La moglie di un mio amico miliardario girava a Catania in short e t-shirt e poi s’è andata a comprare i vestiti alla Rinascente…».

La forza della tradizione

Lei si sente più siciliano che australiano…

«Quando sono qui e faccio i meeting in video con il mio management, mi dicono: “Disgraziato, ti stai divertendo! Quando torni dalle vacanze?”. Ma io qui travagghiu e mi sento a casa mia. Capisco quali problemi ci sono, li vedo subito con le facce, con gli occhi, col cuore. La tradizione è la forza della Sicilia. Io giro il mondo per lavoro, ma la domenica mio padre mi ha insegnato che si pranza tutti assieme, in famiglia. E poi vuole mettere il cibo? I miei figli ordinano delivery in quel ristorante alla moda perché c’è quel pezzo di sushi particolare che si deve fotografare su Instagram. Io sa cosa ho fatto l’altra sera? Sono andato a Solarino, il paese dei miei, e ho spiegato al pizzaiolo come fare la scacciata con la pasta più sottile con la ricetta che usava mia nonna. Anche i prodotti tipici fanno parte del mio progetto: ci sono tante aziende che hanno chiuso e il loro marchio l’hanno portato fuori. Io penso ai giovani, da qui, non se ne devono andare: hanno tutto. Li aiuterò anche con una fondazione, per premiare il merito, la bellezza e la cultura».

Non abbiamo parlato di calcio.

«Sì, è vero. È la prima volta, in un’intervista, da quando sono qui. Cosa vuole sapere?».

Porterà davvero il Catania in Serie A? Che vuole fare con lo stadio e col centro sportivo?

«Sì, porterò il Catania in Serie A. La città lo merita, quello è il posto in cui dobbiamo stare. Anche Palermo lo merita. Ci arriveremo e sogno che tutta la settimana prima della partita in casa diventi una festa per tutti: negozi, bar, ristoranti. Sul centro sportivo siamo nella fase più delicata della scelta: abbiamo individuato due-tre aree, ce n’è una che ci piace di più e decideremo fra poco. In ogni caso il centro sarà un punto di riferimento per tutti gli sport e per tutti i cittadini: tifosi, maschi, femmine, giovani, famiglie, disabili. Lì cresceremo i giovani locali per lanciarli in prima squadra, sarà l’orgoglio di tutta Catania. E anche sullo stadio abbiamo le idee chiare: io non ci ho dormito la notte, quando ho visto tifosi che sono rimasti fuori. Faremo uno stadio più grande, lo costruiremo step by step con i prefabbricati dove c’è quello attuale. Lo voglio sempre più chinu ca vacanti, you know? Ogni partita sarà una festa…».

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