Editoriali
L’autonomia differenziata e il rischio della “spacca Italia”
Hanno ragione i leghisti a inneggiare alla conquista dell’autonomia differenziata. Si tratta di una loro vittoria storica, che stravolge gli assetti del regionalismo italiano attraverso una redistribuzione dei poteri esercitati dallo Stato e dalle regioni, che penalizza il Sud
Hanno ragione i leghisti a inneggiare alla conquista dell’autonomia differenziata. Si tratta di una loro vittoria storica, che stravolge gli assetti del regionalismo italiano attraverso una redistribuzione dei poteri esercitati dallo Stato e dalle regioni, che penalizza il Sud. Con questa riforma la questione meridionale viene, anche formalmente, rimossa dalla discussione pubblica. Si è spiegato da sempre, da parte dei fautori della riforma, che gli interventi destinati al Mezzogiorno si sono rivelati, soprattutto negli ultimi decenni, scarsamente efficaci a causa degli sprechi di risorse, prodotti soprattutto da una gestione clientelare di esse. Il partito leghista è nato con l’obiettivo di rifare l’Italia, archiviando la questione meridionale, considerata un retaggio culturale della Prima Repubblica. Questa strategia è risultata vincente anche per la passività dimostrata dalle classi dirigenti del Sud di fronte al prevalere dell’ala nordista nella Seconda Repubblica.
Dal sud niente strategia unitaria
Le classi di governo delle regioni meridionali non sono state in grado di esprimere una strategia unitaria, capace di contrastare il disegno, perseguito dai leghisti, di porre al centro del dibattito politico la questione settentrionale. Si trattava di garantire alle regioni più ricche del nord un maggiore flusso di risorse, considerando che in queste aree del Paese esistevano tutte le condizioni per promuovere ulteriori opportunità di crescita.Ma quello della questione settentrionale era un tema assolutamente estraneo alla cultura politica che ha caratterizzato il processo unitario. Era opinione diffusa tra i leader politici del Risorgimento che il rafforzamento della coesione del Paese dovesse avvenire attraverso misure capaci di garantire condizioni di vita dignitosa alle popolazioni del Sud. Era questo il modo più concreto di unire l’Italia. Un obiettivo da sempre presente nell’agenda dei governi anche se non sempre affrontato in modo adeguato, privilegiando le regioni forti a danno delle più deboli.
Lo scenario cambiato
Con i leghisti diventati forza di governo questo scenario è radicalmente cambiato. Le risorse destinate al sud sono state considerate come un fattore di decrescita del Paese. I progetti della migliore cultura meridionalista che si batteva perché prevalesse un’idea dello sviluppo del meridione tale da renderlo autosufficiente, competitivo grazie alle riforme e non destinatario di mance elargite dal potere centrale. Il declino della cultura meridionalista e l’avvento di classe dirigenti locali che ritenevano di poter acquisire più potere attraverso un uso spregiudicato delle risorse pubbliche, utilizzate per acquisire consensi, ha certo favorito una deriva antimeridionalista che finito con il coinvolgere anche settori dell’area progressista. E’ emblematica in questo senso la scelta compiuta con la riforma del titolo V della Costituzione, che costituzionalizzava la questione meridionale. In questa direzione non c’è dubbio che la sinistra cercava arginare l’offensiva leghista mutuandone per certi aspetti alcuni tratti culturali.Con la fine dei partiti della Prima Repubblica la questione meridionale non ha più avuto padri autorevoli, in grado di promuovere l’unità del Paese attraverso interventi di carattere strutturale che riguardassero le aree più arretrate. In tale contesto hanno avuto buon gioco i leader di partiti personali, che si spendevano per puntare sullo sviluppo delle aree forti del Paese, all’interno delle quali operavano anche personalità emergenti del nuovo sistema politico, con una spiccata vocazione a confondere affari pubblici e affari privati. L’autonomia differenziata in un certo senso è figlia anche di questo processo degenerativo del sistema politico.
Quante disuguaglianze
Con l’autonomia differenziata, declinata nelle forme decise da Calderoli, si registreranno diseguaglianze clamorose nelle condizioni di vita dei cittadini, tenuto conto dei luoghi ove risiedono, spaccando in due il Paese.Accade quindi che scelte destinate a produrre inevitabilmente disordine sociale vengano presentate all’opinione pubblica come un toccasana per modernizzare il sistema regionale, dando maggiore impulso alle regioni che producono piu ricchezza, e rendendo così irreversibili inefficienze, ritardi delle regioni meno ricche ,verso le quali si assumemmo impegni solenni ad adottare misure perequative, destinate a mitigare la diseguaglianza reddituale tra nord e sud ,che è molto più complessa del semplice divario nord sud. Ma si tratta di impegni difficili da onorare per mancanza di risorse.L’accordo intervenuto nella maggioranza per realizzare la riforma dell’autonomia differenziata è un’operazione di scambio politico , destinata a rinsaldare la maggioranza.Salvini, che continua a perdere consensi elettorali, si può presentare adesso di fronte al popolo padano esibendo una riforma destinata a creare nelle regioni forti nuove opportunità di crescita, e a rendere irreversibili nelle regioni più povere ritardi, disfunzioni, nella fruizione di servizi pubblici essenziali.Ma festeggia anche il partito della Meloni, che adesso è sicura di poter incassare come contropartita l’approvazione del premierato, che sancisce una vera e propria concentrazione di tutti i poteri in capo a Palazzo Chigi.
Il potere economico
Insomma, il potere economico sarà sempre più concentrato nelle regioni del nord e il potere politico sarà sempre più verticalizzato per essere esercitato dal Premier, senza dovere più subire le fisiologiche contraddizioni che un governo di coalizione, dalla natura variegata, inevitabilmente comporta. C’è da augurarsi solo che la riforma del premierato forte possa avere un iter travagliato e possa essere bocciato dagli elettori una volta sottoposta alla probabile consultazione referendaria. Ciò potrebbe produrre degli effetti a cascata che potrebbero anche ripercuotersi sulla riforma dell’autonomia che spacca l’Italia.Allorché si consente ad alcune regioni di farsi Stato, si indebolisce inevitabilmente il ruolo dello Stato come garante di una crescita che dovrebbe diffondere i suoi benefici su tutto il territorio nazionale. Ma, al tempo stesso, si contraddice l’idea di coesione territoriale portata avanti dall’Ue, che ha assegnato all’Italia importanti risorse. Ponendo condizionalità che fanno riferimento proprio alla necessità di promuovere uno sviluppo delle regioni meridionali, tale da consentire la piena fruizione dei diritti di cittadinanza, a tutti i cittadini nella stessa misura, senza tenere conto della regione in cui risiedono.*Costituzionalista, presidente nazionale di Lab DemCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA