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Le due (o tre) lezioni di sardo per la Sicilia

Quello che è successo in Sardegna rappresenta anche un avviso ai naviganti siciliani. Che, nonostante Palazzo d’Orléans sarà di nuovo in palio nel 2027, si sono già portati avanti col lavoro. Ma non sempre facendo i conti in modo corretto

Di Mario Barresi |

Al di là di chi ja vinto per uno “zero virgola”, il risultato del voto in Sardegna, mostra un chiaro messaggio. Per partiti e schieramenti nazionali, soprattutto, in uno degli ultimi test (il 10 marzo c’è l’Abruzzo, ad aprile tocca alla Basilicata) prima delle Europee, madre di tutte le battaglie. Ma quello che è successo nell’altra isola rappresenta anche un avviso ai naviganti siciliani. Che, nonostante Palazzo d’Orléans sarà di nuovo in palio nel 2027, si sono già portati avanti col lavoro. Ma non sempre facendo i conti in modo corretto.Prima lezione di sardo: il centrodestra non è vincente, sempre e comunque, per divinazione. Anche nella coalizione che ha stravinto le Politiche (e le Regionali al di sotto dello Stretto), la scelta del candidato è un fattore decisivo. Così, la quasi-sconfitta di Paolo Truzzu, imposto da Fratelli d’Italia applicando a parti invertite il “metodo Musumeci” – e cioè la non ricandidatura dell’uscente, perché inviso agli alleati – serve prima di tutto a rivalutare il nome schierato dal centrodestra siciliano: Renato Schifani.

Nessuna elezione è paragonabile all’altra

Nessuna elezione è paragonabile a un’altra, in luoghi e tempi diversi, ma la morale della favola (a dire il vero un film horror per la coalizione di governo) in Sardegna è che lo standing dell’aspirante governatore ha un suo peso specifico. Nessuno ci potrà mai dire se Christian Solinas (del Partito sardo d’azione, spinto dalla Lega) o Nello Musumeci (ex leader di DiventeràBellissima, affiliato a FdI) avrebbero fatto il bis. Ma abbiamo due certezze. Anzi, una e mezza: Schifani ha vinto, Truzzu no.

Il peso di chi amministra

E qui si apre un altro tema importante. Il peso del bilancio di chi amministra, soprattutto nel giudizio di chi è amministrato. Il flop di Truzzu arriva, nei primi dati frammentari, proprio da Cagliari, città di cui è stato sindaco. Dunque, al di là delle alchimie (romane e locali) dei partiti, il centrodestra siciliano dovrà tenere conto del consenso. Che non è soltanto quello dei potentissimi acchiappa-voti all’Ars, ma anche quello costruito (o dissolto, lo vedremo fra meno di quattro anni) da un governo regionale che troppo spesso è vittima del “fuoco amico”. Riuscirà la coalizione a blindare Schifani da voto segreto e faide per il sottogoverno? Non è dato saperlo: ci saranno le urne per Bruxelles, poi il rimpasto in giunta e chissà quanti altri scossoni ancora.

La domanda che nessuno vuol farsi

Con una domanda che nessuno, ancora, osa fare e farsi: ma il presidente vuole ricandidarsi? Il diretto interessato va dicendo che «per correttezza ho dichiarato di lavorare a un solo mandato rimettendomi poi alla coalizione, perché così si fa in politica seria». Il che non è un sì. Ma nemmeno un no. Eppure, fra gli alleati, il “dopo di lui” non è un tabù. E Schifani, se non si fidasse soltanto di cortigiani e adulatori, dovrebbe saperlo. Scacciato con sdegno il gossip da osteria sulle sue condizioni di salute, la questione politica è comunque aperta. Seppur sottovoce. Con soprattutto FdI che, dopo il siluramento di Musumeci, aspirerebbe alla presidenza della Regione.

La Lega e il destino di Salvini

E pure la Lega che, in attesa di capire il destino di Matteo Salvini dopo giugno, ci fa un pensierino; decisivi, in questo borsino dei desideri, in Sicilia saranno sempre e comunque Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo. I nomi dei potenziali successori di Schifani? Non c’è nemmeno bisogno di rifarli: si conoscono. Ma anche per loro ci sarà una lezione di sardo da ripassare: non dire gatto se non ce l’hai nel sacco.L’altro memento di queste Regionali riguarda il fronte opposto. E, seppur in parte, alcuni dei ragionamenti già fatti valgono anche per i progressisti. In Sardegna M5S e Pd, senza farsi i dispettucci da asilo, hanno scelto una candidata forte e credibile; da noi c’è stata la farsa delle primarie vinte dalla debolissima dem Caterina Chinnici (oggi con Forza Italia), poi la rottura del patto e Nuccio Di Paola immolato dai grillini. Per la prossima volta bisognerebbe pensarci prima. Magari provando a far crescere qualcuno, anche al di fuori dei singoli steccati identitari. Senza giocare a “fotti-compagno”, per essere chiari. E magari evitando che di mezzo ci sia un Renato Soru siciliano: se i giallorossi sardi dovessero perdere ai rigori sarebbe per colpa dell’ex dem, oltre che dei suoi fan di Azione e Italia Viva.

Cateno De Luca che fa?

E Cateno De Luca che c’entra? C’entra eccome. Perché in Sicilia potrebbe essere il “booster” decisivo del campo più che largo. Larghissimo. Ma lui, ovviamente, vuole fare il governatore. Sinistra italiana non ci sta, ma Pd e M5S ci pensano. Ci devono pensare. In attesa di capire le scelte di Sud chiama Nord per le Europee, la costruzione di un’alternativa a Schifani non può non coinvolgere “Scateno”. A meno che Todde non abbia una cugina siciliana da proporre ai progressisti più puritani, che non vogliono fare un patto col diavolo pur di provare a vincere le prossime Regionali. L’alternativa è rassegnarsi a essere, ancora una volta, dei perdenti di successo.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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