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Made in Italy: la forza iconica del marchio, valore aggiunto per l’economia del Paese

Celebrato per la prima volta in una giornata, il 15 aprile, per promuovere e valorizzare le eccellenze italiane

Di Rosario Faraci |

Lo scorso 15 aprile, per la prima volta, è stata celebrata la Giornata del Made in Italy. L’istituzione di questa ricorrenza è prevista dalla legge n.206 del 27 dicembre 2023 che promuove e valorizza in Italia e all’estero le produzioni di eccellenza, il patrimonio culturale e le radici culturali nazionali. Lungi dal rappresentare una festa patriottica, la celebrazione è il riconoscimento del valore del “Made in Italy”, termine ampio dalle molteplici sfaccettature.

Partiamo innanzitutto dal significato di “made in”, ovunque un’attestazione di riconoscibilità del paese d’origine, delle sue produzioni manifatturiere e dei fattori di superiorità tecnica e tecnologica. Tuttavia, nel caso dell’Italia, a differenza di altri, il “made in” è intriso pure di significati culturali evocativi dei valori dell’italianità. E non parliamo del solito cliché della “Dolce Vita”, ma di un insieme di elementi etichettati come il “soft power” del nostro Paese: storia, cultura, arte, bellezza, buongusto, ospitalità. Vi rientra anche il “fare impresa” all’italiana, ovvero l’imprenditorialità e il sogno imprenditoriale ben incarnati da grandi visionari del passato come Enzo Ferrari, Adriano Olivetti, Luisa Spagnoli tanto per citarne alcuni.In un recente lavoro scientifico condotto insieme alle colleghe Sonia Giaccone e Rosaria Ferlito dell’Università di Catania, segnaliamo che la rilevanza di questo “soft power” è attestata dalla superiorità dell’Italia anche in ambiti non tipicamente produttivi, come i settori dei servizi di cura alla persona, della bellezza, degli eventi e ovviamente il turismo, dove l’Italia è uno dei Paesi leader a livello mondiale.

Quanto vale il “Made in Italy”?Se guardiamo al brand nel suo complesso, monitorato annualmente dal Brand Finance Nation Brands, il marchio Italia vale 2.345 miliardi euro, ben superiore al Pil (prodotto interno lordo). Nono in graduatoria, il nostro Paese ha conosciuto nel periodo 2020-2024 una crescita di tale valore del brand nazionale del +32%; tuttavia in un ventennio – complici le crisi economiche, la pandemia, le instabilità nello scenario geopolitico, l’irregolarità delle catene di fornitura internazionali e l’inflazione – ha perso il 17%.Un’altra misura economica del valore del brand Italia è data dalle esportazioni. Mediamente pari a 500 miliardi l’anno (a partire dal 2018), rappresentano il 25% del Pil nazionale. L’Italia è il sesto Paese esportatore al mondo. Poco meno di un quarto del valore delle esportazioni è generato dal cosiddetto mondo dei “Belli e Ben Fatti”: 711 prodotti di punta, di cui molti concentrati in tre settori, agroalimentare, tessile-abbigliamento e arredamento. Da solo vale 122 miliardi di euro, con oltre 171 mila imprese (la maggior parte delle quali medio-piccole) per un totale di oltre 1,2 milioni di addetti. Secondo una ricerca Confindustria, il comparto dei “Belli e Ben Fatti”, altamente apprezzato a livello internazionale per qualità dei materiali, accuratezza delle lavorazioni, design e riconoscibilità della manifattura, ha ancora un potenziale di crescita per ulteriori 96 miliardi di euro, tanto nei Paesi avanzati quanto in quelli emergenti.C’è anche il lusso, dove l’Italia ha una indiscussa leadership in alcuni settori, dall’alimentare, alla moda, al mondo delle autovetture. Basti pensare a brand noti come Ferrari, Pirelli, Ferrero, Barilla, Lavazza, Armani e Prada. Secondo la ricerca condotta annualmente da Kantar, i top 30 brand italiani per riconoscibilità internazionale varrebbero quasi 130 miliardi di euro.

Il “Made in Italy” – lo ricorda la legge – va ulteriormente promosso e valorizzato, ma anche tutelato. Nel primo caso, accogliendo le suggestioni dei mondi virtuale ed immersivo e dei prodotti digitali nei quali la creatività italiana può rappresentare un fattore distintivo. Nel secondo caso, oltre alla difesa dalla contraffazione che va contrastata in modo ancora più deciso, bisogna erigere barriere protettive anche contro l’Italian Sounding, il fenomeno consistente nell’uso di parole, immagini, combinazioni cromatiche, riferimenti geografici, marchi evocativi dell’Italia per promuovere e commercializzare prodotti in realtà non “made in Italy”.Il Parmesan è uno degli emblemi delle false imitazioni italiche nel mondo, ma non ha nulla a che vedere con l’eccellenza del formaggio a pasta dura Dop della famiglia dei grana. Ogni anno, l’Italian Sounding comporta un costo, ovvero minori ricavi per le imprese italiane, pari a circa 50 miliardi di euro.

Rosario Faraci tiene gli insegnamenti di Principi di Management e di Business Model Innovation all’Università degli Studi di Catania. E’ giornalista e pubblicistaCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA