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L'ANALISI

Riecco il Politeama “Topos” e “Polis” del centrodestra panelle&champagne

Ritorno al futuro, in un rito che si perpetua dalla Dc al 61-0, dal pentapartito all’all-in del referendum renziano

Di Mario Barresi |

Quando – sei anni fa di questi tempi, alla vigilia dell’anomala “onda gialla” che avrebbe travolto l’Isola – era in corso la «Woodstock grillina» al Foro Italico di Palermo (attivisti sul prato, insulti ai giornalisti e stand con vista mare), incrociammo la schifata perplessità d’un navigato cronista parlamentare. «Sembra una sagra… Le manifestazioni politiche regionali si fanno solo in un posto: al Politeama!».

Rieccoci – ritorno al futuro, in un rito che si perpetua dalla Dc al 61-0, dal pentapartito all’all-in del referendum renziano – nel tópos della politica siciliana. Il tempio per celebrare il rito purificatore del vecchio-nuovo centrodestra che incorona Renato Schifani. E rottama Nello Musumeci. Che, a dire il vero, proprio a 200 metri da qui (nell’omonimo teatro) lanciò la corsa del 2017. Ma si capiva che era un pesce fuor d’acqua, molto più a suo agio nel riempire «la sala grande delle Ciminiere» a Catania.

Musumeci ieri non c’era. Poteva, doveva esserci. «Organizzerà – rassicurano – un evento per Schifani il 15: focus sulla sanità con Razza al Catania City Airport Hotel». Il luogo più simbolico per chi, impallinato dal «fuoco amico», ha in tasca il biglietto di prima classe meloniana per volare a Roma. Stavolta l’assente, anziché avere torto, ha la ragione di mostrare, in contumacia, una nitida fotografia. «Un self», lo definirebbe il governatore uscente, poco avvezzo, nonostante la patinatura social, alle diavolerie della politica moderna.

Ed eccolo, il selfie del centrodestra siciliano. Col redivivo Schifani attorniato da alleati sorridenti e vogliosi di «toccare palla», pronti ai rimpianti vertici di maggioranza. In sala ci si dà di gomito, quando Silvio Berlusconi, nella classica telefonata in diretta, celebra il trentennale dell’ultima volta in cui andò a femmine con Gianfranco Miccichè. Che gongola, ombelico e mazziere, felice di essersi liberato del catanese col pizzo. Ora c’è Schifani, l’ultimo della sua “lista dei desideri” assurto a «candidato naturale». Un palermitano alle porte di Palazzo d’Orléans dopo un’astinenza che dura dal 1998 (Giuseppe Provenzano), con un altro concittadino – il pur musumeciano Alessandro Aricò – aspirante al vertice dell’Ars. Sembra di udire, in neo-napoletano  da Vucciria: «Mo’ ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ’o nuost». Ma non è retorica da derby, né la solita fuffa di arancina vs. arancino. Non è campanile, ma potere; non è geografia, ma geopolitica; non è forma, ma sostanza. Così, senza permetterci di azzardare già che si stava meglio quando si stava peggio, registriamo solo le vecchie-nuove coordinate di geolocalizzazione politica: al Politeama, epicentro e polis del centrodestra siciliano. Panelle&champagne, non più il monacale (e un po’triste) ovu ruttu all’acqua di chi, da questa città, non voleva farsi contaminare. Prima di esserne travolto.

Twitter: MarioBarresi  

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